Freeride in Abruzzo, tra diffidenza e divieti. Intervista a Giulio Verdecchia – di Stefano Ardito
La valanga di domenica 4 febbraio a Campo Felice, che ha causato la morte degli sciatori romani Massimo Urbani e Massimo Franzè e il ferimento del loro amico Amerigo Guerrazzi, ha riaperto la discussione sul fuoripista e sul freeride in Abruzzo.
La dinamica dell’incidente è stata subito chiara agli uomini del Corpo Nazionale Soccorso Alpino. Nei giorni precedenti l’alternanza di scirocco e gelate aveva trasformato i pendii dell’Anfiteatro di Campo Felice, come tanti altri sull’Appennino, in delle lastre di ghiaccio.
Sabato 3 ha nevicato, la neve è stata accumulata dal vento ma è rimasta instabile. La slavina sarebbe potuta partire da sola. Quando i tre sciatori, bravi ed esperti ma non abituati a muoversi lontano dalle piste (lo dimostra anche il fatto che erano privi di ARVA) si sono spinti sul pendio il loro peso l’ha staccata.
Anche se la responsabilità è delle vittime, il dolore per quanto è accaduto rimane, come il cordoglio per le loro famiglie. Per capire le prospettive dello sci fuoripista nella regione, e i suoi difficili rapporti con le stazioni sciistiche e i Comuni, abbiamo parlato con Giulio Verdecchia.
Uno sciatore romano, commercialista ed ex direttore amministrativo di aziende multinazionali, che ama e frequenta l’Appennino da decenni. E che, con l’associazione Abruzzo Freeride Freedom, si batte contro i divieti che ritiene immotivati e illegittimi di sciare fuori dalle piste battute.
“Prima di tutto esprimo il cordoglio mio e della mia associazione per le vittime dell’incidente di domenica” esordisce Verrecchia. “Poi ribadisco che l’Abruzzo e le regioni vicine sono dei paradisi per il fuoripista e lo scialpinismo”.
“Noi freerider, dappertutto, cerchiamo la neve appena caduta. Le faggete dell’Appennino, a differenza dai boschi di abete delle Alpi, permettono di sciare passando tra un albero e l’altro. E, naturalmente, consentono di divertirsi senza temere eventuali slavine”.
Giulio Verdecchia ribadisce che il fuoripista non è un’attività per pazzoidi. “Sulle Alpi e in America, il fuoripista e il freeride (i due termini sono di fatto sinonimi) sono una parte importante del mercato dello sci. Molte aziende che producono materiali hanno sviluppato dei prodotti dedicati, a iniziare dagli sci larghi”.
L’altro punto su cui il presidente di Abruzzo Freeride Freedom insiste è quello del rischio. “In Italia, come negli altri Paesi alpini, le valanghe uccidono in media 20 persone ogni anno, e di questi solo 5, sempre in media, sono sciatori fuoripista. Il rischio c’è, ma è contenuto”.

Secondo Verdecchia, la situazione dell’Appennino di oggi è la stessa delle Alpi trent’anni fa, quando il fuoripista e il freeride hanno iniziato ad andare di moda. Anche lì si è passati dal panico e dai divieti alla collaborazione e ai servizi dedicati.
“A Courmayeur, ad Alagna, a Gressoney o ad Artesina il fuoripista è una parte dell’offerta turistica. A Verbier, nel Vallese, il 90% degli sciatori fa freeride” continua. “Chi scia in Svizzera o in Austria, o a Chamonix o a La Grave in Francia, scopre che lo sci fuoripista ha la stessa dignità di quello sui tracciati battuti”.
“A Sankt Anton, nel Tirolo austriaco, la mappa delle discese in neve vergine si ritira all’ufficio turistico o si scarica dal sito. Dopo forti nevicate, le zone pericolose vengono chiuse, e le slavine vengono fatte staccare con l’esplosivo”.
Certo, anche i praticanti devono essere all’altezza della sfida. “Fuoripista e freeride non si improvvisano, chi li vuole praticare deve imparare con le guide alpine, al Nord o in Abruzzo, e magari continuare a sciare con loro. Occorre essere sempre attrezzati con ARVA, pala e sonda”.
I gestori delle stazioni e i Comuni, invece, dovrebbero studiare cosa si fa sulle Alpi, pubblicizzare gli itinerari possibili, vietare solo le zone davvero a rischio. Per Roccaraso, un dépliant di Abruzzo Freeride Freedom indica le zone pericolose (in arancione) e quelle da vietare totalmente (in rosso) per il rischio di staccare slavine che potrebbero investire le piste.
“Ci vorrebbero anche qui le “ski patrol” americane o i “pisteurs-sécouristes” valdostani, delle guide alpine che hanno seguito un apposito corso, che possono bloccare gli incapaci e dare consigli preziosi a tutti gli altri” continua Giulio Verdecchia.
L’unica cosa che non serve sono le ordinanze di divieto, magari senza limiti di tempo, che i Comuni abruzzesi (e solo loro!) hanno emesso negli ultimi inverni. Il 7 marzo, il TAR dell’Abruzzo discuterà finalmente i ricorsi di Abruzzo Freeride Freedom contro i divieti dell’inverno 2016-2017 emessi dalle amministrazioni di Roccaraso e L’Aquila.
“Il fuoripista non è proibito per legge, un provvedimento del genere può arrivare solo dalla Regione o dallo Stato. Vietarlo in un singolo comprensorio sciistico sarebbe come se il sindaco di Roma vietasse di andare in bicicletta o in motorino”
…esattamente chi conosce ,come lo scrivente..Verbier..Super Nendaz..L’Argentiere…ciò che sostiene..Verdecchia è totalmente da condividere…in merito al Free Ride e SKI ALP