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L’arrampicata e l’alpinismo sono politicamente innocenti? La polemica attorno a Adam Ondra

In un mondo nel quale a tutto viene dato un colore politico, la polemica (ma lo è?) che coinvolge l’arrampicatore più forte e noto al mondo fa un po’ sorridere.

Adam Ondra s’è infilato con tutta l’agile destrezza e forza di cui è capace nelle spire della propaganda pro e contro Israele e pro e contro palestinesi, ma anche nel pregiudizio melmoso della destra e della sinistra nostrani che parteggiano per l’una o l’altra parte.

Estrapolano il caso specifico di Adam Ondra – e cioè dalla questione se Adam sia stato vittima consapevole o meno dell’enorme trappolone propagandistico che l’ha stritolato  fino a fargli piagnucolare “…climbing should be free for everyone and it does not really depend on country, religion, sex or race.” (e ci mancava altro!) – la domanda che taluno si pone è se l’arrampicata e (allarghiamoci) l’alpinismo siano per davvero innocenti come il bimbetto del Natale, politicamente parlando.

No di certo. Lo sport, nonostante de Coubertin, si è tinto spesso dei colori della politica: a volte del nero o del rosso della dittatura, altre del rosso sangue di innocenti massacrati proprio durante le Olimpiadi come accadde a Monaco di Baviera nel ‘72.

Ma anche l’alpinismo e l’arrampicata non sono stati a guardare. Con Manaresi, presidente fino all’aprile del 1943 quando cadde Mussolini, il CAI era di fatto espressione diretta del Regime. Emilio Comici fu commissario prefettizio di Selva Val Gardena.

Guido Rossa, emigrante bellunese a Genova, fu sindacalista ed alpinista: molti giovanissimi forse non lo ricordano, ma praticò con maestria e intelligenza l’arrampicata in falesia e su durissime vie delle Alpi. Rossa accettò di rappresentare gli operi dentro le fabbriche genovesi negli anni di piombo, ma denunciando anche i violenti. Fu ucciso il 24 gennaio 1979 dalle Brigate Rosse e la sua morte determinò la definitiva liberazione della sinistra dal fiancheggiamento al terrorismo.

Sono episodi che mi vengono in mente di getto e in ugual modo pigio sulla tastiera.

Eccone un altro di fatto intriso di politica, fanatismo, terrorismo, d’altro continente e natura: ero a Skardu nell’estate 2013 nel cuore del Baltistan e mi stavo incamminando con la mia compagna per raggiungere il campo base del K2 quando la polizia ci informò che al campo base del Nanga Parbat, nella zona di Fairy Meadows, 11 alpinisti internazionali erano stati assassinati da terroristi talebani. Fu terribile e certo non c’incamminammo sul Baltoro con serenità.

Il povero Ondra, spero e voglio credere nella sua innocenza, intesa come totale buona fede, dovrebbe sapere che dalle parti della Palestina e di Israele i giochi sono molto, molto più pericolosi dell’arrampicarsi su dei sassi per aprire il primo 9a della regione, foss’anche senza alcuna protezione. Lo sono pericolosi, questi giochi, per la vita delle persone che da decenni difendono le parti contrapposte dentro un gioco che tale non è, perché assomiglia troppo alla guerra.

Forse Adam doveva capire, prima di partire per questo suo viaggio, come ci dicevano le nostre madri, che non tutto è un gioco, nemmeno se poi chiami la tua via “Climbfree”. Doveva anche sapere che in questi luoghi, in ogni dove ti muovi, trovi un raccontatore di storie moderne pronto a strumentalizzare per la sua parte il tuo agile muoversi in verticale.

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