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Processo Jungfrau: l'ipotesi scivolamento

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COIRA, Svizzera — Potrebbe essere stato lo scivolamento di una delle cordate a causare la valanga sullo Jungfrau e di conseguenza la morte dei sei giovani militari svizzeri nel 2007. Questa l’ipotesi formulata della difesa delle due guide alpine sotto processo in questi giorni a Coira. Un’ipotesi confermata da uno dei soccorritori della Rega, giunta sul posto dopo la tragedia.

Il pericolo valanghe era marcato, le guide avrebbero dovuto evitare quella gita o comunque prevenire l’incidente. Queste le basi su cui era stata formulata l’accusa di negligenza e omicidio plurimo colposo contro le due guide alpine che accompagnavano i militari quel tragico 12 luglio.

Ma durante il processo del tribunale militare a Coira, nuovi elementi stanno facendo vacillare l’ipotesi accusatoria. Primo fra tutti un soccorritore della Rega che ieri, durante la terza giornata di dibattimento, ha dichiarato che la valanga non si sarebbe staccata spontaneamente ma potrebbe essere stata causata dagli stessi alpinisti in salita.

L’uomo, che lavora da vent’anni nel soccorso della Rega, si trovava sul secondo elicottero giunto sul posto dopo la valanga e ha raccontato ai giudici di aver trovato tracce di scivolamento e due piccozze conficcate sul pendio dove è avvenuto l’incidente. Quindi il distacco potrebbe essere stato provocato da una delle cordate, scivolata sul pendio.

Nei giorni precedenti le due guide alpine sotto accusa avevano peraltro affermato che il pericolo valanghe era "moderato" e che non avevano constatato nessun segnale di pericolo, come accumuli di neve ventata o altre valanghe spontanee come quella avvenuta poco prima sul Monch. Altrimenti, avrebbero "sicuramente annullato la gita".

Secondo quanto riferito da Ticinonews, tre delle reclute sopravvissute al dramma hanno confermato le dichiarazioni delle guide, mentre una ha precisato che alla vigilia dell’ascensione il gruppo aveva dei dubbi, fugati però dalle guide alpine. "Ci siamo fidati della loro esperienza", avrebbe detto ai giudici questo testimone.

 

Sara Sottocornola

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