Alpinismo

Il coraggio e la determinazione di Sílvia Vidal

L’8 settembre scorso vi abbiamo raccontato della straordinaria impresa di Sílvia Vidal, che dopo 17 giorni in parete, per un totale di 53 giorni da sola nel cuore più a nord e selvaggio dell’Alaska, ha realizzato in solitaria la prima salita sul lato ovest di Xandu, negli Arrigetch Peaks. 

In Alaska, il giorno del rientro di Sílvia nella cittadina di Bettles, c’era anche la nostra lettrice Anna Cerantola, a cui abbiamo chiesto di raccontarci la serata che l’alpinista ha tenuto quel giorno. Un’occasione per conoscere non solo il lato tecnico di questa immensa impresa, ma anche quello umano. 

 

Testo di Anna Cerantola

Quando l’ho incontrata, al suo rientro dagli Arrigetch Peaks, era quasi allo stremo delle sue forze ed energie, vistosamente magra e provata, ma piena di entusiasmo per la sua impresa appena conclusa e voglia di raccontarsi e condividere con persone decisamente affascinate dalla sua avventura.

Quasi per caso ho avuto l’occasione di incontrarla a Bettles, nel Nord dell’Alaska, un villaggio di appena 20 anime durante l’inverno, ma che in estate diventa il fulcro di transito per chi vuole spostarsi verso il Brooks Range, una catena di montagne interamente a nord del Circolo Polare Artico.

Silvia Vidal era rientrata il giorno prima dalla sua impresa e il villaggio, entusiasta della sua presenza, ha organizzato una serata di foto con mezzi di fortuna.

La prima cosa che ti colpisce è il corpo esile e la voce dolce e bassa di tono di una giovane donna che ha raccontato, corredando il tutto di foto, della sua impresa che ha fatto girare il nostro cervello sino alla fine della presentazione e anche oltre.

Con quanta naturalezza raccontava aneddoti che per gli stessi alaskani presenti, persone forti e abituate alla vita dura, erano imprese degne di nota, anche un po’ difficili da comprendere forse al villaggio dove la vita è concepita in maniera molto diversa.

Ha esordito dicendo che la cosa di cui ha avuto maggiormente paura in tutti quei giorni sono stati gli orsi, incontri quasi quotidiani da quelle parti e quando ha avuto i suoi faccia a faccia con questi animali, a parte premunirsi di bear spray, chi lì usiamo tutti, (non era armata), usciva dalla tenda e gli diceva amichevolmente: ehi orso! sono una climber spagnola e sono venuta qui per arrampicare su quella montagna, io ti lascio stare e non ho intenzione di farti del male e ti prego tu lascia stare me che saremo amici… e l’orso se ne andava… prima un orso nero e poi un grizzly e poi forse si è sparsa la voce perché non ne ha più visti, ma cercava sempre posti tattici e strategici dove mettere la tenda pensando: “se fossi un orso dove non andrei…”.

Nemmeno 57 giorni in solitaria l’hanno spaventata, nemmeno l’avere lasciato, per scelta, a casa telefono satellitare, gps e trasmettitore di soccorso o dover abbandonare per quasi 2 mesi le comodità della vita la l’hanno resa così nervosa.

Le prime foto raffiguravano lei con un’enorme quantità di zaini pieni di attrezzatura per arrampicare, viveri (per lo più barrette energetiche), acqua, tenda, portaledge, abbigliamento per quasi due mesi e attrezzatura fotografica e non so cos’altro, e con tanta naturalezza spiegava come si muoveva: caricava sulle spalle il possibile (diviso in 11 carichi differenti) e come una formichina faceva avanti e indietro, per un totale di 22 viaggi, e si portava il materiale per fare l’avvicinamento. E in Alaska non ci sono sentieri, a volte segui i game trail creati dagli animali, ma spesso dove riesce a passare un alce tu non ce la fai a causa del percorso impervio e accidentato (arbusti e vegetazione fitta), devi farti strada tra il bush e se sei piccolina e pesi 45 kg a volte diventa davvero difficile vedere cosa c’è davanti a te.

Un entusiasmo che non è mai mancato, avvicinamento difficile per raggiungere lo scopo del suo viaggio, per cui non vedeva l’ora di arrivare alla parete di Xanadu che aveva scelto vedendo delle foto in internet. Quando le faceva male un ginocchio mentre camminava con cantilena ripeteva a se stessa: “Ce la puoi fare, ce la puoi fare, passa tutto, ce la puoi fare” e diceva a noi del pubblico: “Provate anche voi!”

Attrezzata, organizzata e mentalmente preparata su tutto. Arrivata alla parete si è organizzata per dormire 2 settimane in parete ed era felicissima prima di tutto per il fatto che lì non avrebbe ricevuto visite di orsi, che l’acqua la poteva prendere dallo scioglimento delle nevi in alto, anche se la parte più pericolosa è stata quando una scarica di detriti ha colpito la portaledge appesa alla parete e l’ha strappata in alcuni punti.

Non ha mai avuto paura per se stessa, a parte le vicende già narrate, e non ha mai pensato di non potercela fare.

E’ riuscita anche ad incontrare altri climbers, con cui ha condiviso solo confronti che l’hanno giustamente definita wonder woman. E dopo 17 giorni in parete è riuscita a portare a termine e con successo la sua impresa, con coraggio e determinazione cercando di fare sempre meglio. Felice di non dover scendere a valle per prendere l’acqua al fiume, col rischio di incontrare altri orsi, raccoglieva acqua piovana o di ghiacciaio da bere.

Per il ritorno, dopo aver calcolato i giorni, aveva un appuntamento prefissato, ma discutibile per via del tempo e di altri fattori, con la compagnia aerea Brooks Range Aviation. Si sapeva il giorno, ma non l’ora e sorrideva ancora pensando al suo timore che potessero essersi dimenticati di lei e quando le ore passavano seduta con i suoi bagagli sulla spiaggetta del lago già si era rassegnata: ok ora come esco da qui… poi in lontananza il rumore dell’aereo e la vista dello stesso che scivolava atterrando sull’acqua e il rientro alla vita di tutti i giorni.

Il giorno dopo sarebbe ripartita per Fairbanks e Barcellona, che, come ci ha tenuto a precisare, fa parte della Catalogna e non della Spagna!

Naturalmente i nostri discorsi e pensieri in solitaria sono andati avanti tutta la sera e oltre pensando alle vicende, ma soprattutto alla persona, allo spirito sportivo che ti porta in questi luoghi e alla determinazione che ti porta a compiere con successo queste avventure faticose sia fisicamente che mentalmente e a come può essere una persona così nella vita di tutti i giorni. Una donna ha senz’altro un cammino più duro rispetto ad un uomo, però esistono i climbers, quelli come lei, che indipendentemente dal sesso compiono imprese straordinarie.

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