Daniele Nardi storytelling: Alison Peak, una parete alta più di 2000 metri
Testo di Daniele Nardi
Come trasformare un problema in una opportunità? Ci troviamo di fronte una strada crollata in un abisso di ciottoli e polvere. Sotto di noi un centinaio di metri di dirupo che cadono sul ghiacciaio. La jeep qui non può passare e siamo costretti a fare campo base. Che fare? Ciò che in Europa potrebbe sembrare impossibile in queste situazioni diventa possibile: ci tiriamo su tutti le maniche e cominciamo ad aggiustare la strada. Dopo alcune ore di lavoro è quasi pronta. Migliaia di sassi spostati ed enormi massi divelti con il cric della jeep. Non vogliamo tuttavia rinunciare a quel piano “b” che ci aveva balenato nella testa quando abbiamo pensato come poter trasformare questa sosta forzata in un possibile successo. Ci mettiamo poco a preparare gli zaini io, Michele e Tom. La parete che si vede al di là del ghiacciaio mi attrae troppo. Tom timidamente mi chiede: “che ne dici se domani…”, “Certo che andiamo…se loro passano la strada e piazzano il nuovo campo base li raggiungeremo a piedi tra un paio di giorni”. Questo mi ha stupito: l’incredibile gioco di squadra che crea azione istantanea senza alcuna esitazione, Michele si aggrega all’ultimo minuto.

Da questa piccola ma grande avventura ho imparato nuovamente quanto è grande il Karakorum e tutto ciò che pensi di poter scalare in due giorni si tramuta in una parete di 2000m scalabile in una settimana o più se sei bravo. La cosa più bella è stato dedicare la cima inviolata, che ahimè ancora lo è seppure abbiamo tirato su quasi 1100m di via nuova fino alla “Scimitarra Rossa”, ad Alison Hargreaves mamma di Tom e Kate che sono qui con noi in spedizione. Alison scomparve scendendo dal K2 nel 1995, una donna forte ed una grande alpinista: questa cima inviolata è in memoria di lei che ci ha ispirati tutti. Alison Peak, una big wall pazzesca raggiungibile in due ore dalla strada: più di 2000m di parete che terminano a punta come un dito rivolto al cielo. Quello che abbiamo fatto è tracciare una linea fino alla piccola spalla segnata dalla “scimitarra rossa” da cui in futuro spero una cordata più audace della nostra possa concluderla fino in vetta. Quello che suggerisco però, è di andarci agguerriti: qui in Karakorum tutto sembra piccolo perché si confronta con ciò che è enorme…provate ad immaginare un pallone affianco ad un bimbo oppure lo stesso in mezzo ad un deserto. Ricalibrate il metro e buona avventura.
Approfondimento di Michele Focchi.
Daniele, Tom e io decidiamo di partire dopo pranzo per una scalata di “acclimatamento” nella parete antistante il campo temporaneo. Daniele è molto positivo -” ma si, prevediamo di fare un bivacco ed arrivare in vetta il giorno dopo!” A metà (così sembra) parete c’è un “dente” rosso dove prevediamo ci sarà una cengia con abbastanza spazio per dormire.

Iniziamo la lunga attraversata del ghiacciaio fossile (completamente coperto da detriti) e dopo 2/3 ore arriviamo alla base della parete. Tom inizia a scalare a velocità supersonica. Dopo i primi 60 metri sentiamo il tintinnio del chiodo che entra nella roccia. “è in sosta!”. Il granito vira dal rosso al grigio ed è di buona qualità un po’ sporco da licheni e terriccio in alcuni punti. La presenza di arbusti e piante spinose che dobbiamo evitare qua e là mentre scaliamo non ci fa sentire al Grand Hotel.
Ma la più grande vessazione è rappresentata dalle zanzare (cosa ci fanno le zanzare a 4000m???) che in quantità improponibile ci avrebbero perseguitato fino a sera. Guardo la corda che sta per finire: “Tom! You have 5 meters”, la corda finisce… Daniele mi incita: “dai, togli il freno che lo seguiamo in conserva!”. Nel frattempo Tom, 60 metri più avanti, continua serafico a scalare come se niente fosse facendo “run outs” su placche improteggibili…Mentre Tom macina roccia a un ritmo pazzesco, io e Daniele siamo spossati dal peso dello zaino che si aggira intorno ai 15 kg a causa dell’attrezzatura da bivacco, il cibo e l’acqua per due giorni: “io non ho mai fatto tanta fatica a scalare! Non riesco a capire se è l’altezza o sto maledetto zaino” nel frattempo passo in rassegna (maledicendomi mentalmente) tutte le (poche) cose di cui avrei potuto fare a meno.
In totale, il primo giorno abbiamo aperto 11 tiri su gradi dal IV al VI+, cercando di seguire la via più logica in quella parte della parete. Spesso siamo arrivati a dover dirimere dilemmi insanabili tipo: “e ora? andiamo a destra o a sinistra???”, “Let’s go in the middle!” scherza Tom.
Il penultimo tiro della giornata era un camino che impediva ogni tipo di connessione satellitare. “Cavolo, abbiamo il collegamento con Radio Uno fra 10 minuti e qui non prende!” sbotta Daniele. “Dobbiamo uscire in fretta da questo camino!”. Usciamo sulla cengia giusto in tempo per il collegamento radio in diretta e poco dopo iniziamo a preparare il bivacco. Fissiamo una corda a due ancoraggi alla quale ci leghiamo e scaviamo con la picca delle piazzole più o meno piane per dormire. Si dorme vestiti e con l’imbrago, non si sa mai che uno rotoli giù nel sonno e si ritrovi 500 metri più in basso!
Dopo una cena frugale a base di barrette, ravvivata dall’ottimo prosciutto stagionato di Sezze (che non si sa come Daniele abbia fatto passare dalla frontiera), ci addormentiamo sotto uno splendido cielo stellato.
Alle 7:00 iniziamo a scalare il dodicesimo tiro. Le difficoltà (a mio avviso) diventano un po’ più sostenute. Verso mezzogiorno arriviamo a una fessura strapiombante che siamo costretti a superare senza gli zaini, facendo delle manovre turche per recuperarli dall’alto. “Dai che siamo quasi fuori! Dopo di questa siamo al dente!”. Tom scala egregiamente anche questo tiro, incastrando la mano nel tetto fessurato per sostenere il proprio peso mentre tiene i piedi in “spalmo”. Usciti dalla fessura arriviamo al “dente” che da quella prospettiva sembra piuttosto… una scimitarra rossa! Ci rendiamo conto che non siamo neanche a metà parete e che sarebbe necessario un altro bivacco per arrivare in cima (500 metri più sopra). Tom: “Non abbiamo abbastanza acqua per 3 giorni!”, eravamo tutti a pezzi dopo quella corsa contro il tempo, per cui decidiamo saggiamente di scendere dall’altro versante.
Pensavamo il brutto fosse passato ma ci sbagliavamo di grosso! Dopo 4 calate in un canalone arriviamo a un grosso torrente che siamo costretti a guadare. Pian piano una vaga idea su come fare viene fuori. Tom si getta tra i flutti mezzo nudo mentre Daniele gli fa sicura a spalla. “Ma come facciamo con gli zaini?”. Attraversato il torrente una volta, la corda viene fissata ai due lati e la utilizziamo come mancorrente per attraversare con gli zaini. “Ammazza che rinfrescata, con questo caldo ci voleva!”.
Il torrente si gettava in una forra scolpita nei millenni e noi scendiamo faticosamente per infidi dirupi erbosi fino ad arrivare di nuovo al ghiacciaio. Sotto la luce della luna attraversiamo le creste moreniche che franano continuamente sotto i nostri piedi. Io sono esausto. Ciò che rimane del campo temporaneo sono due tende in cui ci fiondiamo a dormire. “Michele, Tom?” sento una voce di donna che chiama nella notte. Avrò sognato??? Ho solo la forza di tirare fuori la frontale e fare dei segnali morse con la luce. Kate e Cuen erano venuti a prenderci con la Jeep! Tom nella tenda ha già schizzato a memoria la relazione della via, “welcome to the jungle” la chiamiamo! I giorni successivi li passiamo a montare il campo base (abbiamo una tenda per uno!).