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“La ballata della donna ertana”, recensione di Mirella Tenderini

Devo delle scuse a Mauro Corona per una riserva personale che ho sempre avuto nei suoi confronti e che il romanzo L’OMBRA DEL BASTONE aveva ancor più rafforzato. La mia accusa era di misoginia; lo scusavo soltanto pensando a quello che doveva essere stato l’ambiente patriarcale nel quale ha trascorso la sua infanzia. LA BALLATA DELLA DONNA ERTANA mi costringe felicemente a ricredermi, ma devo dire che mi è arrivata come un pugno nello stomaco e ho dovuto aspettare un po’ di tempo e rileggerla con calma prima di poterne scrivere.

La ballata «è nata nel rigido inverno 2000-2007, abbandonata in primavera e poi ripresa nell’altro inverno» scrive Corona alla fine del suo libro. Non avrebbe potuto nascere che in inverno un libro così cupo e tormentato come le vicende che racconta: quelle di una donna che rispecchia l’esistenza di tante altre donne che tribolavano «giorno e notte a testa bassa come formiche / (…) spellate di dolore e di fatiche». La protagonista è una donna di Erto che racconta la sua vita di lavoro bruto e di sottomissione al marito-padrone. Lui, sempre ubriaco, non ha avuto mai un gesto di tenerezza per lei e pretende di possederla brutalmente ogni volta che ne ha voglia, anche alla fine di lunghe giornate di lavoro massacrante, incurante del suo sfinimento e del suo crescente disgusto. Le ha fatto nove figli ed è lei che deve provvedere a tutti moltiplicando il suo lavoro nei campi, a far legna nel bosco e a lavare panni nel torrente. Lui non se ne occupa; va all’osteria e quando lei cerca di sottrarsi alle sue voglie la insulta e la picchia.

Una vita grama consumata tra fatica e rabbia, sostenuta unicamente dall’amore per i figli nei quali la donna ha riversato tutto quello di buono che le è rimasto dentro. Non prova alcun sentimento per il marito salvo il desiderio di liberarsene. Lo ucciderebbe, persino – ci si prova anche, fallendo per fortuna. Quando l’uomo muore accidentalmente «scivolando sulle rocce / una sera che tornava a casa ubriaco» l’unico pensiero della vedova è: e adesso come farò a provvedere ai figli? Ma si riprende presto: in fondo ha sempre dovuto fare da sola: «allevare i ragazzi e lavorare / e il povero matto a ubriacarsi». Continua la sua vita grama ma i figli stanno crescendo e non basta più il lavoro nei campi e nel bosco per sfamarli e vestirli. Trova da guadagnare qualche soldo in più a tirare carri per trasportare mole da vendere in pianura. Le mole di pietra sono pesanti e i sentieri sconnessi, ma appena i figli saranno grandicelli le daranno una mano! E invece no. Uno dopo l’altro, in quattro anni le muoiono quattro figli – i più grandi – tutti per incidenti: sotto una valanga Furina, per una caduta nel bosco mentre faceva legna Bastianin, e altri due nell’incendio di una stalla. Disperata la madre medita ogni giorno di buttarsi nel torrente, ma ogni giorno ci rinuncia. Come può abbandonare gli altri bambini, ancora piccoli? Hanno bisogno di lei. E allora avanti!|
Ancora avanti tra mille stenti. Infine l’amicizia con una donna del paese, Cate, le regala un po’ di calore e una speranza di serenità. Fino al nove ottobre del sessantatrè quando mezza montagna frana nel lago artificiale del Vajont sollevando l’acqua che scavalca la diga in un uragano di morte e si trascina via la vita di più di duemila persone. Tra di loro Cate, e anche «quei cinque figli che mi aveva risparmiato / quello lassù che dice di amare i bambini». Una pagina tremenda. Un urlo contro l’ingiustizia umana e divina.

LA BALLATA DELLA DONNA ERTANA è scritto nel dialetto di Erto in quartine di endecasillabi perfetti. Come un lamento medioevale o una saga antica. Io l’ho letta in quel dialetto aspro e potente, aiutandomi con la traduzione a fronte. Consiglio a tutti di fare lo sforzo di leggerla così, perché la traduzione da sola (molto povera, puramente di servizio) non può sollevare la medesima emozione, né rendere l’atmosfera di quei luoghi e il peso di quelle vite. Mi rendo conto che purtroppo non lo potranno fare in molti ed è un peccato perché il fascino sconvolgente de LA BALLATA DELLA DONNA ERTANA andrà in gran parte perduto.

Questa Ballata mi ricorda il romanzo MARIA ZEF di Paola Drigo (ripubblicato quest’anno da Ecra Libri). Come in quel libro anche nella BALLATA di Corona aleggia un sentimento che definirei di pietà universale, generalmente assente nella narrativa di montagna e non. Quanta letteratura melensa sui “bei tempi andati”! E quanta retorica da tavolino… Purtroppo le favole sono favole e ai tempi dei nostri nonni e bisnonni la vita nelle valli era un inferno. Dappertutto la vita dei poveri era dura e dominata dalle gerarchie familiari: anche nelle pianure e lungo le coste. Ma nelle valli montane l’isolamento e la rigidità del clima rendevano ogni gesto quotidiano ancora più difficile. Non solo si faticava molto più di quanto riusciamo oggi a immaginare, non solo c’erano i pidocchi, il gozzo e la pellagra; la cosa peggiore era l’abbrutimento che sviliva i rapporti di famiglia; con i figli ma soprattutto con le donne, trattate come oggetti da usare e calpestare. In tutte le società primitive o arretrate le donne sono ancora oggi considerate proprietà dell’uomo e noi “civili” ci sentiamo tanto superiori. Le vecchie storie delle valli nostre vengono raccontate come pezzi di folklore con stereotipi fissi di uomini prepotenti e cattivi, donne vittime oppure anche loro furbe e cattive quando riescono a raggirare gli uomini. Cose lontane, soprattutto, e nessuno pensa mai abbastanza al contesto sociale nel quale si sviluppavano comportamenti che oggi ci fanno inorridire. Nessuno o quasi nessuno si domanda le ragioni della bestialità alla quale può arrivare un uomo distrutto dalla miseria e dal sentirsi l’ultimo della terra, lui stesso vittima incapace di trovare sollievo, nella sua abiezione, se non nella prepotenza e nella violenza. Non si è molto disposti a capire che anche lui è un poveraccio, non certo scusabile ma meritevole di almeno un briciolo di compassione, a cui non rimane che annegare nel vino la sua sconfitta, perché la donna che ha offeso, maltrattato, violentato, in fondo è più forte di lui.

La BALLATA è un pezzo della storia di Erto comune a molte storie dell’umanità che fa riflettere e che, raccontata da un uomo che ritenevo misogino, gli fa particolarmente onore.

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