Niente Cho Oyu per Moro e compagni
CHHUKUNG, Nepal — Un sogno finito ancor prima di cominciare. O forse, semplicemente rimandato. Sta di fatto che per quest’anno non ci sarà Cho Oyu per Simone Moro, Hervè Barmasse, Emilio Previtali, Lizzy Hawker e Tamara Lunger. Il gruppo, bloccato in Nepal a causa dell’improvvisa chiusura delle frontiere tibetane, ha deciso di comune accordo di rinunciare al progetto per evitare di "snaturare" la spedizione o di assumersi rischi inutili: i tempi imposti dalla Cina lascerebbero loro meno di dieci giorni di lavoro sulla montagna.
"Questo è ciò che negli ultimi giorni è purtroppo accaduto in modo rocambolesco ed inesorabile – si legge ancora -, a causa dei provvedimenti restrittivi presi dal governo cinese che in modo improvviso, perentorio, e non negoziabile ha chiuso le frontiere col Tibet, impedendo a chiunque di entrare in quel territorio anche se muniti di visti d’ingresso e regolari permessi".
La situazione è precipitata qualche giorno fa quando il gruppo di alpinisti era già nella valle del Khumbu per compiere il programma di acclimatamento. Come un fulmine a ciel sereno, la notizia che la Cina avrebbe chiuso le frontiere per l’anniversario della Repubblica ha messo in allarme il gruppo, che comunque fino all’ultimo ha sperato di poter trovare un varco per raggiungere la montagna della quale avevano già in mano il permesso di salita.
Invece, niente. Di ieri l’ultima inesorabile conferma dalle autorità cinesi: nessuno potrà entrare fino a quando non saranno finiti i festeggiamenti. "Facendo due calcoli – ci ha spiegato Simone Moro – non avremmo nemmeno 15 giorni di tempo per salire il Cho Oyu. Il 10 di ottobre è l’ultimo giorno di blocco e si entrerebbe il giorno 11 ottobre. Arrivemmo cosi al campo base avanzato il 14. Un giorno per allestirlo… e il 23 sarebbe l’ultimo giorno utile prima di preparare i bagagli per il rientro. Dal 16 al 23 calcolate voi quanti giorni avremmo".
Insomma, Moro e compagni le hanno tentate tutte. Nel frattempo hanno proseguito la loro preparazione, salendo l’Island Peak di 6.189 metri. Ma alla fine, hanno convenuto che la soluzione migliore sarebbe stata quella di arrendersi all’evidenza. "Meglio cancellare la spedizione – spiega Moro – e posticiparla piuttosto che buttare via i soldi dell’intera spedizione e forzare la mano e la sorte. Ci vuole saggezza per vivere a lungo e sereni. Rientriamo a casa senza tentare nulla del Khumbu per essere uniti e fedeli in quello che è nato come un progetto comune".
"Insistere sarebbe una follia – conclude l’alpinista bergamasco -. Sarebbe un pessimo insegnamento da dare, un’accettazione di rischi evidenti, una spesa elevata per un partita persa in partenza se considerata nel completamento di tutti e tre differenti progetti (scalata, snowboard e bike/run a Kathmandu). Allora diciamo: no! Nessuno di noi vuole tentare la sorte e sperare di realizzare in tempi quasi impossibili ciò che per anni abbiamo preparato e sognato. Congeliamo il progetto, diciamo no grazie alle autorità cinesi, salviamo i soldi di chi ha creduto in noi nonostante la difficile congiuntura economica e, portando rispetto a ciò che la ragione e la morale ci impone, torniamo a casa tutti assieme senza escogitare progettini di ripiego e salva faccia individuali. Siamo fieri di aver trovato in questa decisione un accordo comune e totale. E’ stato un bel team sin dall’inizio".
Photo courtesy The North Face Trilogy Expedition