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Crespi: climber e coca? Già successo

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PREDAZZO, Trento — "Non mi risulta che giri cocaina nel mondo dell’arrampicata, ma c’è da dire che quello di Chamonix non è il primo caso. I controlli antidoping dovrebbero forse comprendere gli esami del sangue". Questo il parere di Flavio Crespi, atleta della Guardia di Finanza e tra i più noti climber italiani, che abbiamo intervistato sul caso della cocaina assunta inconsapevolmente dall’atleta francese Marine Thevenet, bevendo da una bottiglietta non sua.

"Ero a Chamonix quel giorno – racconta Crespi – ma non ho sentito nulla di quella faccenda. Me l’hanno raccontata dopo, quando è uscita sui siti francesi. In realtà non mi risulta che giri cocaina regolarmente, nel mondo dell’arrampicata, ma c’è da dire che non è il primo caso. Nel 2007 un atleta spagnolo, Edu Marin, è stato trovato positivo alla cocaina in finale ed è stato squalificato per due anni".

"Non ho mai assistito direttamente a cose del genere – ribadisce Crespi – forse anche perchè in Italia il doping è anche un reato penale. Se risulti positivo, devi fare due processi, quello penale oltre a quello sportivo. So che non è così dappertutto e forse, dove le regole sono meno stringenti, qualcuno se ne approfitta".

Crespi, varesino, classe 1980, è uno dei climber italiani più celebri del mondo. Ha all’attivo diversi titoli italiani, una coppa del mondo di difficoltà vinta nel 2005 e diversi posizionamenti di rilievo in prestigiose gare internazionali. Dopo un infortunio che lo ha costretto in panchina nel 2008, da qualche mese è tornato in attività sulle pareti attrezzate.

"Ho notato che i controlli antidoping sono più stretti da un mesetto – racconta Crespi -. Ora li fanno partire dai quarti di finale e prendono 3-4 persone, cosa che prima non era mai successa. Certo è che si tratta sempre di controlli sulle urine mentre bisognerebbe fare gli esami del sangue sia in gara che durante gli allenamenti. Ma sono troppo costosi e vengono fatti solo in pochi sport come il ciclismo".

Sara Sottocornola

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