Alpi: la "piaga" delle seconde case
TORINO — Seimila seconde case in paesi dove soltanto seicento sono abitate. Sono numeri come questi che “uccidono” molte località delle Alpi italiane, che restano deserte e abbandonate per la maggior parte dell’anno. Il calcolo è stato fatto da Legambiente, che ha stilato una classifica di “vivibilità” dei paesi di montagna, dove il problema dei cosiddetti “letti freddi” è sempre più grave.
La classifica di Legambiente, che esamina un campione di 260 località turistiche, è “tristemente” guidata dal Piemonte, dove le seconde case rappresentano in media l’82 per cento delle abitazioni totali. Le situazioni peggiori, in Valsusa e provincia di Cuneo. In testa alla classifica dei 260 comuni esaminati, ci sono proprio Bardonecchia, con 7892 seconde case contro 1429 abitate, Frabosa Sottana con 6.600 seconde case e 671 abitate, e Limone Piemonte più o meno con la stessa proporzione.
Lombardia, Veneto, Trentino e Valle d’Aosta soffrono la piaga delle seconde case con percentuali che si aggirano tra il 60 e il 70 per cento. Picchi negativi si registrano soprattutto nelle valli orobiche, nella zona di Cervinia, in quella di Asiago, mentre Livigno costituisce il “gioiello” lombardo, con percentuali invertite rispetto alla media. A Madesimo il record negativo, con una percentuale di seconde case che sfiora il 93 per cento, così come a Foppolo e Pragelato.
Il rapporto mette in evidenza come le seconde case siano molte nelle località sciistiche. A Pinzolo, Folgaria, Aprica, Cortina, la sproporzione incide pesantemente sulla qualità della vita come in altri paesi con percentuali simili.
Ma perchè le seconde case non piacciono? “Un paese occupato dalle seconde case non è un bel posto in cui vivere quando i turisti non ci sono – si legge nel rapporto di Legambiente -. Assume un aspetto da “the day after”. E il beneficio economico legato alla messa in cantiere delle case si trasforma quasi inevitabilmente in una condanna al declino turistico”.
Il danno viene misurato, oltre che in termini paesaggistici, anche di oneri per le amministrazioni locali. Il dossier, intitolato “Cemento d’alta quota – seconde case, cemento vs turismo di qualità” mette in evidenza come i cosiddetti “letti freddi” siano negativi per i piccoli comuni, costretti a provvedere a parcheggi e mantenimento strade per far contenti turisti che danno uno scarsissimo contributo all’economia locale per la brevità dei loro soggiorni.
In province come Aosta, Sondrio, Trento e Belluno, negli ultimi cinquant’anni, si è passati da un 15 per cento circa di abitazioni non occupate a livelli odierni del 50 per cento. E si tenga conto che il campione esaminato da Legambiente riguarda comunque località di media grandezza, e non considera le miriadi di frazioni o i piccoli paesi che oggi spesso sono quasi completamente costituiti da seconde case.
Eccezione alla regola, nemmeno a dirlo, è l’Alto Adige, dove le seconde case hanno percentuali sempre inferiori al 20 per cento: i paesi sono vissuti tutto l’anno. Una situazione certamente favorita dai continui investimenti della Provincia per le infrastrutture e l’economia territoriale. In Alto Adige, inoltre, l’offerta di posti letto per i turisti è prevalentemente composta da alberghi: attività che continuano a generare ricchezza nel tempo.
Il problema, comunque, non è solo italiano ma vissuto anche da altri paesi alpini. A St. Moritz, per esempio, il 58 per cento delle abitazioni sono seconde case. La differenza è che se in Svizzera e Austria sono state introdotte norme per limitare le seconde case, in Italia e Francia i disincentivi sono pressochè inesistenti. La domanda che sorge però è questa: la soluzione è disincentivare le seconde case, oppure incentivare l’economia locale e la vivibilità del territorio montano per tutto il corso dell’anno?