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Scialpinismo nella Georgia dei poli opposti

Testo e foto di Veronica Balocco e Michele Cucchi

 

L’essenza di cumino avvolge l’aria. E’ il profumo di khachapuri. Di carne speziata. Zuppa calda. Un piatto ricco che ci raggiunge, nel dehors di questo bar, in questa piccola, curiosa stazione sciistica. Il vino rosso nasce qui. E raccoglie tutto il sapore della terra aspra e ruvida. Una discesa in neve fresca, e ora sorseggiamo felici.

Qui a Tetnuldi il mondo è strano: qualcuno, arrivato da migliaia di chilometri di distanza, ci ha creduto. Ha osservato quei pendii, voluto quegli impianti, offerto le risorse. Soldi. E creato tutto questo. Modernità pura, in mezzo al silenzio del Caucaso. Ma la strada ancora non c’è. La prima stagione di questo piccolo mondo di seggiovie a sei posti brilla spensierata. Qualche local, tanti stranieri. Polizia di montagna in esercitazione. Guide pronte a organizzarsi. E la voce che inizia a spargersi anche oltre i confini di una Georgia che pochi, nell’Europa delle Alpi, sembrano conoscere davvero. Eppure, nonostante tutto questo, la strada non c’è. Guidare su piste sterrate, dove anche le auto più moderne arrancano a fatica, è normale da queste parti. Ma qui, in questo sperduto regno creato dai finanziatori stranieri, qui dove le aspettative parlano di turismo, sciatori in arrivo, tra impianti avveniristici e dehors sulla neve, una strada vera non arriva. Le seggiovie hanno avuto la priorità. Domani, forse, alla stagione che arriverà, anche l’asfalto porterà civiltà fin quassù.

Dobbiamo farci l’abitudine, a queste contraddizioni. Se c’è qualcosa che di questo Paese emerge sopra ogni cosa, come la confusione per l’Italia e la pulizia per la Svizzera, è il suo essere tutto e il contrario di tutto. E il suo saper lasciar convivere queste anime in una paradossale pace. Mestia, dove la montagna del nord assume la forma di un villaggio d’altri tempi, con le sue torri che raccontano antagonismi lontani, è una miscela di opposti distanti e vicini. Un presente che sa di storia, tra le viuzze in pietra che anche Vittorio Sella non seppe fare a meno di imprimere sulla lastra, lasciando in cambio il ricordo di sé, e delle sue immense opere, per i decenni a venire. Arretrata ma non povera, medievale ma contemporanea, sovietica ma occidentale questa cittadina è la scelta più scontata del popolo sciistico in arrivo dall’ovest. Ed è da qui che in questo inverno, ad ogni latitudine e longitudine si osservi, si vede neve. Cime severe, altezze inconsuete: c’è chi le vive con una rotazione di elicottero, chi con i nuovi impianti, chi con il sudore delle pelli. Tetnuldi e Mestia, rumore e silenzio, impianti e natura, folla e solitudine. Pochi chilometri di distanza e nel cuore profondo dello Svaneti, regione delle montagne e della storia, le due opposte facce della Georgia si svelano.

Ma la magia del Caucaso non si ferma qui. Ovunque si guardi, qualunque cima si scelga, è una scoperta. Salite mai banali, discese da inventare. E piacere puro nella polvere leggera del freddo dell’Est. Sembra di non aver mai visto tanta neve, di non aver mai scivolato su un cotone tanto morbido. E l’arrivo in paese, tra le mucche che osservano, il pastore che si affianca per una foto, il ruscello da attraversare, i maiali che attraversano le strade fangose, è la più ovvia chiusura di tanta stranezza. Di tanta bellezza.

E noi siamo lì, nel mezzo di tutto. A provare un po’ tutte le strade per vivere l’emozione di ogni giorno. A incidere la nostra firma sulla lavagna liscia del bianco perfetto, nel tempo di un pomeriggio che sfuma immancabile tra un khachapuri e un tocco di speck del Trentino, una birra local e un bicchiere d’acqua dal rubinetto che nessuno chiude mai, paura del gelo.

Ma c’è un momento per tutto, in questa Georgia dei poli opposti. Un attimo per visitare l’innovativo museo e uno per sbirciare nel vecchio negozietto venditutto. Uno per guardare l’aeroporto futurista e uno per farsi una serata nel ristorantino da 6 euro a cena completa. Sono gli estremi che riemergono. Le alternative che convivono. Antitesi che guidano la scelta degli attimi, dove c’è spazio anche per stringere amicizia con i georgiani più veri. Quelli vestiti di nero ma solari nel sorriso. Temprati dalla vita severa ma stregati dalla tv. Dalla compostezza riservata ma dalla voglia di donarti quel che hanno. 

Se c’è qualcosa destinato a restarci dentro, di questa Georgia così ovunque contrastante, è proprio qui. Nella pace di una giornata che finisce, con una sciata alle spalle, le montagne negli occhi, un bicchiere di vino tra le mani, una focaccia tra i denti, la stanchezza degli amici e il sorriso di chi ci offre un letto. Riuniti tutti intorno al tavolo, a raccontarci quanto diverso sia il nostro mondo. E quanto bello sia poterselo dire in faccia.

È la bellezza pura e ingenua di un Paese da cui la storia non si è lasciata impietosire. E che pure ora rivive come meta di un turismo portatore di ossigeno. Ma fino a che punto? C’è chi dice che questo luogo abbia ancora tanta strada da fare. Troppo lontano dal modello che domina la mente occidentale. Troppo arido di comodità. Ma la sensazione di tutti noi, che lì ci abbiamo vissuto emozioni destinate a non svanire, è che gli opposti siano ancora una volta in perfetto equilibrio. Perfettamente selezionati per mantenere la bolla d’aria nel centro. E che questa meravigliosa Georgia, a conti fatti, abbia già trovato la sua personale meta.

 

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