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Nives e Romano onorano oggi l’alpinismo con 14 ottomila saliti

Nives Meroi e Romano Bennet hanno raggiunto la vetta del loro quattordicesimo “ottomila”: l’Annapurna di 8091 m.

È la vittoria dell’alpinismo piuttosto che della comunicazione alpinistica e dei suoi escamotage, degli uomini piuttosto che delle imprese.

Non che Romano e Nives non abbiano realizzato anche ottime imprese alpinistiche, checché ne dicano e pensino coloro che tendono a sminuire l’alpinismo himalayano e delle alte quote, come nell’antica disputa tra occidentalisti e crodaioli, tra pesta-neve ed acrobati; una polemica antica e riconducibile più alla tifoseria che alla qualità dell’impegno sportivo e umano impiegato in modo differente, ma sempre estremo.

Buzzati in un articolo per il Corriere, negli anni cinquanta, aggiungeva anche la qualità morale come caratteristica dell’alpinismo sulle grandi montagne, anche delle Alpi e non solo dell’Himalaya, ovviamente.

Romano e Nives sono due grandi alpinisti, difficile dividerli, valutarli per le loro singolari caratteristiche. Insieme hanno formato una cordata formidabile nella vita, che ha saputo affrontare difficoltà estreme nella buona e cattiva sorte, come la malattia, di cui ci hanno anche raccontato sommessamente. Una cordata che oggi corona anche un’aspirazione libera e inutile, come la definiva il grande Lionel Terray, di salire tutti gli 8000 solo con le proprie gambe e braccia, con la testa e il cuore, ma anche con la propria qualità morale.

L’Annapurna, che Maurice Herzog e Luis Lachenal “conquistarono” nel 1950, primo ottomila sul quale l’uomo poneva piede, ha accolto oggi sulla sua cima Nives e Romano, simboli dell’alpinismo buono dei nostri tempi.

 

Foto @ Umberto Isman – Repubblica.it

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