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Dimenticato, il milite ignoto delle Dolomiti aspetta ancora il meritato riposo

Nella primavera del 2015 si ritrovavano i resti di colui che sarebbe diventato un milite ignoto. A cent’anni dalla fine della Grande Guerra, il ritrovamento avvenne sotto la cima di Costabella in Dolomiti, tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino, dove il confronto tra austriaci e italiani soffrì le condizioni più difficili. Oggi, dopo 2 anni, i resti del caduto sono ancora in una scatola nella stazione dei Carabinieri di Moena, in attesa che qualcuno decida il posto più consono dove possa riposare in pace.

A Moena ciascuno ha svolto la propria parte: chi ha ritrovato i resti, Livio Defrancesco, il magistrato che ha avviato la pratica, i carabinieri e la stampa, che ha divulgato la notizia. La burocrazia però, come troppo spesso accade, s’è inceppata, dimenticando la riconoscenza per colui che ha fatto il suo dovere verso la patria. Il Ministero della Difesa e il suo organo interforze “Onorcaduti”, che avrebbe dovuto occuparsi della sepoltura, non hanno svolto il loro compito. E così il “milite ignoto” giace nella caserma dei Carabienieri, non troppo lontano dai suoi compagni d’armi che riposano al Cimitero Militare di Santa Giuliana, a Vigo di Fassa.

Intanto che il milite trova degna sepoltura noi però possiamo ricordare come l’alpino di Costabella morì nel canalone Ovest, con un masso che gli rompeva il cranio vicino al fronte austriaco, probabilmente all’assalto. In base ai resti ritrovati si doveva trattare di un alpino grande e forte della compagnia 206a, l’unica stanziata in quel luogo, probabilmente caduto nell’inverno del 1916, quando caddero 18 metri di neve in Dolomiti. Dettagli che sa bene Livio Defrancesco: sin da bambino perlustra  le sue montagne e con i suoi ritrovamenti ha aperto un bel museo sulla guerra alpina. Livio ha anche raccontato l’episodio del ritrovamento: “Ero sotto la cima di Costabella a fare manutenzione dei sentieri e ho visto delle scarpe chiodate, tipiche di quella guerra in montagna. Le ho prese in mano e ho sentito che dietro venivano i piedi, la gamba, il corpo. Le ossa erano perfette, grandi più del normale. Accanto al corpo, un arpione per far sicurezza ai compagni, una gavetta e una bomba a mano. Niente piastrina di riconoscimento. L’elmetto era spezzato. Era stato chiaramente portato via da una valanga o da una frana”.

C’è da sperare che dati il numero limitato di soldati della compagnia 206, la stazza del soldato e la ricca memoria storica di quei tempi, qualcuno possa farsi avanti per dare un nome e un’identità a colui che aspetta ancora di riposare in pace.

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