Giuliano, medico col cuore sulla montagna
BERGAMO — "Era la persona più equilibrata, sicura e rispettata del campo base. Gli chiesi se se la sentiva di prendere le redini della grande spedizione. Aveva il cuore di nuovo sulla montagna eppure mi disse di sì". Così Agostino Da Polenza ricorda Giuliano De Marchi nei difficili momenti finali della spedizione K2 2004, quando lui, capospedizione, fu costretto a lasciare il campo base per tornare ad assistere la moglie in gravi condizioni di salute.
"Mi curò al K2 da Nord, nel 1983, dai postumi drammatici dovuti a una “balla” a suon di brindisi di un alcolico locale per festeggiare l’arrivo al campo base e l’inizio della spedizione. Mi curò al mio rientro dalla vetta, e al suo ritorno dopo qualche giorno con la delusione del tempo che era cambiato e gli aveva impedito di salire fino in cima. Curò Luca Argentero vittima dello scoppio di una bombola di gas che gli fracassò il setto nasale, e aiutò altri. Ma il suo cuore era sulla montagna, sempre".
"Mi ha curato di nuovo nel 2004, al K2 – continua Da Polenza – mentre me ne stavo andando dal campo base e lo stress, che fa bene se non è troppo, mi aveva contratto lo stomaco in spasmi insopportabili. Con calma mi chiese se volevo il suo aiuto, con pudore, quasi avesse paura di disturbare il mio dolore per mia moglie Silvana che a casa stava morendo, che lui conosceva bene. Ma temeva anche di turbarmi per la tensione per la spedizione alpinistica arrivata ad un punto cruciale, per le responsabilità che mi sentivo non solo per fare bene ma anche per la sicurezza di molte persone che erano con noi sulla montagna. In quei momenti gli chiesi se se la sentiva di prendere lui le redini della grande spedizione. Aveva il cuore di nuovo sulla montagna eppure mi disse di sì".
"Si lasciò convincere che lui era la persona più equilibrata, “sicura” e rispettata del campo base – conclude Da Polenza -. Forse non la più adatta a “comandare”, ma certo sarebbe stato ascoltato. La spedizione alla fine ebbe successo, andammo in vetta, Giuliano ancora una volta arrivò vicino al suo sogno. Ne abbiamo parlato dopo con calma e con intelligenza come sempre accadeva con lui. Ci siamo rivisti e sentiti, non spesso, talvolta insieme all’altro grande suo conterraneo e comune amico Soro, ma come capita con gli amici veri e leali, ogni qualvolta che il destino incrociava le nostre strade era come se ci fossimo salutati la sera prima. Molti di noi che amano la montagna e i “suoi” uomini gli devono molto, l’amicizia innanzitutto".
Per ricordare De Marchi, pubblichiamo l’intervista girata al campo base del K2 il 28 luglio 2004, due giorni dopo il successo della spedizione che ha portato sulla vetta cinque alpinisti nell’anno del cinquantenario della prima salita italiana.
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