Alpinismo

Inverno 2017: Manaslu contro Everest

Elisabeth Revol al campo base del Manaslu era arrivata giusto per la fine anno ed aveva detto che era ventoso e, inutile dirlo, “freddo”. Anche all’Everest il freddo non manca e Alex Txikon riprende a salire e attrezzare l’Icefall, dopo la sosta per riprendere fiato.

Due modi diversissimi di vita e intendere l’alpinismo, due strategie contrapposte, due atteggiamenti divergenti.

Txikon al base ci arriva con Carlos rubio, due cineoperatori e un groppone di portatori e sherpa; la Revol con Ludovic Giambiasi, il quale l’accompagnerà solo fino a C2, e con qualche portatore che l’già lasciata sola con il cuoco e un paio di aiutanti. Non è dato sapere se l’ufficiale di collegamento sia al “base” dopo le furibonde polemiche sui LO dei mesi scorsi riguardo la loro scarsa attitudine a rimare in quota e la predilezione al caldo dei lodge dei villaggi a fondo valle.

Lui attrezza la salita e i campi con l’aiuto di sette sherpa super fighi, lei si acclimata salendo e spostando il suo campo giorno dopo giorno, sempre più su.

Del primo puoi seguire in diretta dal pc di casa o da mobile i progressi ed il suo blog è in continuo aggiornamento, lei ha annunciato che al campo base non avrà alcuna connessione e contatto con il “mondo esterno”.

Elisabeth la dura, la pura, l’intransigente, la determinata, fin quando finiscono le vacanze, poi pianta piccozza e ramponi e rientra a casa, sulle montagne di casa. Una ragazza d’altri tempi, una Giovanna D’Arco dell’alpinismo, eroina della solitudine e della lotta contro draghi di ottomila metri, per di più nel gelo siderale dell’inverno. Lui un giovane basco con tutti gli entusiasmi, la testardaggine, la determinazione e l’ambizione un po’ esagerata, ma genuina, del “suo popolo”, ma anche alpinisticamente preparato e con tanta voglia di farsi vedere e sentire.

Una donna e un uomo in Himalaya, d’inverno, probabilmente tra i migliori himalaysti del momento, a duecento chilometri di distanza in linea d’aria, reduci entrambi dal Nanga Parbat, salito da lui per la prima volta in assoluto in inverno. Con Alex c’erano il forte Ali Sadpara, seguiva infine  Simone Moro. Lei invece al Nanga c’era stata con il “magnifico” e stravagante Tomek Mackiewicz, che ne ha fatte, dette e sparate di tutti i colori. Insieme son saliti fino a 7500 metri; anche loro erano seguiti, a distanza, da Simone Moro. Poi quando hanno rinunciato a battere pista sulla loro via e son rientrati a casa, Moro s’è messo in coda ad Alex.

Due modi e mondi diversi di vedere e praticare l’alpinismo. Continueremo, per quanto possibile, a seguirli.

 

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4 Commenti

    1. Si certamente. Simone Moro nella sua carriera ha evoluto e sviluppato un suo stile e modo di salire le montagne. Ha ideato e avviato molte imprese alpinistiche: alcune formidabili le ha realizzate e le quattro prime invernali sono la testimonianza di questo risultato, altre solo parzialmente rispetto a quanto annunciato, come l’ invernale congiunta al Broad Peak e al K2 o la traversata Lhotse-Everest, preferendo rinunciare di fronte al rischio eccessivo di perdere la vita. Ci sono anche altre salite,solo apparentemente minori, come la parete nord del Baruntse, che certificano la sua qualità alpinistica.

  1. Lei fa alpinismo, l’altro no, sale con ogni mezzo e le sue salite non contano nulla per la vera storia. Il nanga in inverno con le corde fisse nel 2016 non conta nulla – solo per sponsor e cassa. La Revol coi suoi tentativi probabilmente fallimentari servirà al futuro, i puristi studieranno la sua strategia e i suoi errori e prima poi saliranno correttamente. Il basco e l’italico dopano tecnologicamente tutto, sono da squalifica. semplice

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