Nuova via di Fabrizio Manoni sul Fornalino, in Val d’Ossola
Si chiama “La via del Geppo” la via di otto tiri (max 7b+) realizzata dalla guida ossolana con Paolo Stoppini sulla montagna che separa Valle Antrona e Val Bognanco
Anche sulle montagne della sua Val d’Ossola Fabrizio Manoni trova ancora pareti non scalate o vie da aprire. Interprete di un alpinismo dal sapore antico e con una spiccata propensione per l’esplorazione, la guida alpina ossolana questa volta ha rivolto la sua attenzione verso il Fornalino, una montagna spartiacque tra alta valle Antrona e alta Valle Bognanco. Con lui l’altra guida ossolana Paolo Stoppini, anche lui animato dalla stessa passione per l’ignoto e non a caso compagno di Manoni ogni volta che c’è da affrontare qualche diedro o strapiombo “fuori rotta”.
Come scrive Manoni sui suoi social “Il Fornalino è una montagna conosciuta più dai local che dal vasto pubblico. A parte avere una via normale riservata ad escursionisti esperti ha anche una bella parete rivolta a est. Alta circa 300 metri è stata scalata per la prima volta nel 1949 dai domesi Silvio Borsetti, Aldo Provera e Stefano Zani. Poi si dovranno aspettare 31 anni per vedere ancora esseri umani attaccarsi ai suoi appigli. Nell’inverno 1980 l’esploratore Ambrogio Fogar, con Ambrogio Veronelli e la guida lecchese Graziano Bianchi raddrizzano a sinistra la linea dei Domesi. La terza salita conosciuta è ad opera dei giovanissimi Graziano Masciaga e Claudio Manoni lungo la via dei domesi. Quarantacinque anni dopo eccoci io e Stoppi al secolo Paolo Stoppini a strizzarne i fragili appigli. È stato difficile trovare una linea scalabile sul pilastro centrale tra strapiombi e roccia che “stac” e ci faceva volare via. Ma alla fine è venuta fuori una bella linea. Piuttosto severa”.
Come si articola la via?
L’abbiamo chiamata “Lo spirito del Geppo”, perché mi piace pensare che lo spirito di mio cugino Claudio Manoni morto giovanissimo sulla parete est del Mittelruck, aleggi ancora tra queste montagne che erano la sua grande passione. È una via su roccia verticale e strapiombante piuttosto severa di 8 tiri lunghi con il massimo grado 7b+. Questa volta, vista la fama della montagna di avere roccia non bella, ho voluto fare più sopralluoghi per verificare la tenuta della parete calandomi dall’alto, chiodando, fino a quando non ho trovato il compagno giusto. L’avvicinamento è di circa un ora e mezza su sentiero segnato ma come per tutte le vie che ricerco è la linea della salita che mi attrae e la bellezza del contesto naturale dove si trova, fra silenzio e natura.
Che emozioni ti regala affrontare pareti nascoste?
Scalare certe montagne poco frequentate e magari che richiedono lunghi avvicinamenti mi dona emozioni forti, felicità. Arrampicare su certe pareti lontano dalla folla ha un valore unico che fonde il corpo l’anima e la natura; il gesto atletico diventa solo un tassello in più di un’esperienza totalizzante. Spesso nelle falesie ci si ritrova nel caos e nemmeno più ci si saluta e si scambiano le sensazioni per la stessa passione, un vero peccato. Scalare in certi ambienti mi ridà la gioia che un tempo univa tutti gli alpinisti.
A chi consiglieresti di ripetere questa tua ultima creazione?
A ottimi arrampicatori che sappiano anche interpretare la roccia, che non abbiano solo il grado ma che siano in grado di accarezzare gli appigli con leggerezza e che non manchino della giusta sensibilità verso il contesto naturale in cui si trovano.
Quali progetti hai in serbo?
Sicuramente nelle valli ossolane ci sono ancora tante belle linee su pareti note e meno note da poter aprire. “Rotta verso est” è una via che ho aperto di recente sullo Joderhorn a Macugnaga, dove si può utilizzare la funivia per abbreviare l’avvicinamento, ed è una parete ben nota nella zona. Ci sono poi le linee solitarie che sto studiando e spero di aprire presto.




