In cordata

La felicità non si può prenotare

La prenotazione obbligatoria, meglio se via app, ormai necessaria per dormire nella maggior parte dei rifugi è un limite all’andar per monti in libertà. Scegliere mete sconosciute e poco frequentate è un ripiego. Che allontana dal sogno

“Basta, io in rifugio non ci metto più piede”.
“E perché mai” chiedo, “stufo di dormire nelle camerate?”.
“Macché, il fatto è che se non prenoti per tempo non trovi posto, ma se prenoti troppo in anticipo magari ti cambia la meteo, e poiché ormai tutti i rifugisti vogliono la caparra e non te la restituiscono… Capisci che quando devi coordinare un corso di venti o trenta allievi, diventa un problema”.  

Sto parlando con un direttore dei corsi CAI di alpinismo, zona Lecco. È sconsolato. “Ormai, quando vado da solo, dormo in furgone e mi adatto ad avvicinamenti bestiali. Ma con la scuola non si può”.
“Soluzioni?”
Una soluzione c’è: cambiare meta. Macinare molti più chilometri e andare dove c’è meno affollamento. Anche se ormai la prenotazione ci vuole sempre, anche nel rifugio più sgrauso…”.

È davvero cambiato tutto. Ricordo i rifugi di cinquant’anni fa, quando si correva sul sentiero per accaparrarsi i posti migliori. Ricordo il vecchio Fiorelli alla Gianetti, che non importa a che ora arrivassi, un materasso (o “tamarasso”, come diceva lui) per terra te lo buttava sempre. Oggi ci vuole il booking. La carta di credito. La stramaledetta app.

La parola chiave di tutto questo a me sembra che sia “affollamento”. Folla, uno scorrere di folla incessante ovunque, il famigerato overtourism. Mi è capitato in mano il celebre libro di Luigi Barzini, Gli italiani, prima edizione settembre 1965. Sessant’anni fa. Il primo capitolo si intitolava “La pacifica invasione” e parla di un fenomeno dalle dimensioni “inesplicabili e quasi allarmanti”: il turismo. “Negli anni cinquanta i turisti raggiunsero, ogni dodici mesi, gli otto, dieci, dodici milioni”, scriveva Barzini, “attualmente hanno superato il limite dei venti milioni, più di un turista ogni due italiani e mezzo”. E continua pronosticando, entro pochi decenni, il superamento degli abitanti della Penisola. Mai profezia fu più azzeccata e anzi travolta dalla realtà: nel 2024 le presenze totali nel Bel Paese hanno sfiorato i 250 milioni, di cui metà stranieri, gli arrivi sono stati quasi 130 milioni. Di fronte a questi numeri, si capisce perché chi viene senza prenotare resti senza camera, e tanto più in esercizi dalla capienza limitata come i rifugi alpini.

C’è chi si attrezza. Amministratori contenti delle folle altospendenti, ma preoccupati dalla degenerazione del fenomeno. Soprattutto nelle Dolomiti, che da 16 anni sono Patrimonio dell’Unesco e con questo marchio hanno visto un boom turistico senza pari. Il direttore della Fondazione Dolomiti Unesco, Roberto Padrin, in una recente intervista ha detto elegantemente: “Bisognerà coltivare, fin d’oggi, la consapevolezza del limite”. E per limite intendeva capienza, ma anche contenimento del numero di ospiti oltre il quale la qualità del servizio, inevitabilmente, inizia a scadere. I casi che faranno scuola, da quest’inverno, sono due: Madonna di Campiglio e Valgardena. Nella prima viene istituito il numero chiuso, massimo 14mila presenze contemporanee sulle piste, e una serie di incentivi per chi si prenota con largo anticipo; nella seconda sono previsti slot da prenotare via app, con tariffe variabili, per accedere agli impianti (dopo che le funivie del Seceda, la scorsa estate, hanno offerto il peggior spettacolo di overtourism). Già in vigore da tempo invece gli obblighi di prenotazione per i parcheggi delle Tre Cime, Braies, Serrai, Alleghe.

Tutto comprensibile, tutto ragionevole. Ma (posso dirlo?): che tristezza! Dolomiti in vendita a chi ha lo smartphone più veloce, e il resto delle Alpi non è messo meglio.

Ma torniamo alla soluzione del nostro istruttore CAI. Cambiare meta. Valorizzare le valli minori, la mezza montagna, i luoghi spopolati che paradossalmente, in tempi di overtourism, costituiscono il grosso delle Alpi (e degli Appennini). Non sto qui a dare degli esempi: ognuno di noi conosce posti del genere, e basta buttarsi in rete per cogliere i suggerimenti di altri (intelligenti) amanti della montagna. Parcheggi vuoti, rifugi d’antan, pareti misconosciute… la libertà di andare dove ci porta l’estro del momento, di poter decidere all’ultimo, senza bisogno di app. Perché la felicità, per l’alpinista, non si può prenotare.

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