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Dopo oltre 70 anni la bicicletta del Monviso è tornata a valle

“Una goliardata giovanile, da non ripetere”: così Clemente Berardo definisce l’idea di portare una bici sulla vetta del Re di pietra. Ora quello che ne rimaneva gli è stato riconsegnato

Settant’anni appoggiato tra le rocce del Re di Pietra, visto e fotografato da generazioni di alpinisti. Quel telaio arancione, arrugginito, senza ruote né manubrio, era un oggetto fuori posto, un relitto che sfidava il tempo e le intemperie, alimentando curiosità, ipotesi e leggende.
Oggi, dopo tanto tempo, la famosa bicicletta della cresta Est del Monviso è finalmente tornata a valle. O meglio è tornato a valle quel che resta di essa, il telaio ormai cimelio, che è stato restituito al suo legittimo proprietario, Clemente “Mente” Berardo.

Fu lui, giovanissimo e pieno di entusiasmo nei primi anni Cinquanta, a trascinarla in cima assieme ad alcuni amici. Allora aveva appena quindici anni e non era ancora la guida alpina stimata, il soccorritore e il riferimento dell’alpinismo saluzzese che sarebbe diventato. Era semplicemente un ragazzo con voglia di scherzare, capace però di trasformare una bravata in un piccolo frammento di leggenda: «Respiravamo una leggerezza particolare, figlia della giovane età e della spensieratezza del dopoguerra», ricorda oggi Berardo, classe 1936. Quella bicicletta, vecchia e riverniciata, sua madre l’aveva acquistata da un ciclista di Saluzzo. Lui e i compagni decisero di caricarsela sulle spalle e portarla in cima al Monviso, lasciandola poi lassù come segno di goliardia.

Una trovata che fece sorridere e incuriosì molti. Nel corso dei decenni, infatti, il telaio arrugginito era diventato quasi una presenza familiare per chi affrontava la salita a questa vetta. Al punto che individuarlo durante l’ascesa era diventato un gioco, un elemento in più della scalata. Inoltre, negli anni la bici fu spostata più volte, trascinata dal vento, dalla neve o dalle mani di qualche alpinista. Fino a scendere, lentamente, di quota. L’ultimo avvistamento, nel 2020, la collocava a circa 3.500 metri.

Il ritorno alla base

Poi, quest’estate, due alpinisti l’hanno ritrovata ancora più in basso, a 2.900 metri, e hanno deciso di riportarla a valle.

Il loro gesto non è stato banale: hanno caricato il pesante telaio sulla schiena per dieci ore, tra salita e discesa, fino alla pianura. Non lo hanno fatto per sé, ma per consegnarla a chi quella storia l’aveva iniziata: «Due testardi come me – ha sorriso Berardo –: meritano un applauso». La restituzione è diventata anche occasione di riflessione. Nei giorni successivi, Berardo ha incontrato il presidente e il direttore del Parco del Monviso, Marco Dastrù e Vincenzo Maria Molinari. Assieme hanno ripercorso settant’anni di cambiamenti nell’alpinismo, dalle corde intrecciate a mano alle moderne attrezzature, dalla spensieratezza giovanile alla responsabilità di chi guida e soccorre. Berardo, che conta più di 400 salite al Monviso e un’ultima vetta solitaria nel 2019, ha ricordato come la parola “responsabilità” sia stata il filo rosso della sua vita: in vetta, con i clienti, e soprattutto nel Soccorso alpino, a cui ha dedicato decenni di impegno.

Il “ritorno a casa” della bicicletta avviene in un anno speciale per il Monviso, che festeggia i cento anni della croce di vetta e i cinquant’anni della storica discesa con gli sci della Nord di Nino Viale. E se è vero che il Monviso «è montagna per pietre, aquile e camosci, non per vecchie biciclette», come disse lo stesso Berardo, quel telaio arrugginito resterà comunque il simbolo di un’epoca, segno del legame profondo che unisce uomini e montagna.

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