Lupo: meno protetto, ma davvero più gestibile?
Da specie “rigorosamente protetta” il lupo è passato a essere solamente “protetto” a livello europeo: una decisione accolta con favore da alcuni e contestata da altri. Scopriamo cosa ha portato a questo cambiamento e quali potrebbero essere le conseguenze nel nostro Paese
Ridotto a poche centinaia di esemplari negli anni 70 del secolo scorso, il lupo – scientificamente Canis lupus – ha saputo riconquistare gli antichi territori di vita grazie a tre fattori principali: protezione legale, spopolamento delle zone rurali e aumento delle prede selvatiche. Il risultato è evidente nei dati dell’ultimo monitoraggio condotto a scala nazionale: 3.300 lupi in Italia a inizio 2021, oggi probabilmente già aumentati. Un fenomeno, quello del ritorno spontaneo del lupo prima nelle aree montane e quindi anche in quelle sub-ottimali di pianura, che non riguarda solo il nostro Paese, ma l’intero continente europeo, dove si stimano popolazioni in crescita, anche se non in modo omogeneo, per una consistenza complessiva superiore ai 23.000 esemplari.
Un successo dunque, in termini di conservazione, di cui dovremmo innanzitutto prendere atto e che dovrebbe favorire considerazioni scientifiche sul livello di protezione della specie: le norme di tutela nascono infatti con l’ovvio scopo di proteggere “molto” le specie a rischio di estinzione e “meno” quelle con un buono stato di conservazione. Purtroppo però il lupo non è una specie come le altre e quindi, complici i conflitti con le attività umane in molte zone di recente ricolonizzazione, in particolare per quanto riguarda il bestiame, la questione si è spostata sul piano politico.
Nonostante la contrarietà di gran parte della comunità scientifica – inclusa la Large Carnivore Initiative for Europe, referente dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura per le questioni legate ai grandi carnivori – nel dicembre scorso il Comitato permanente della Convenzione di Berna ha votato a favore della richiesta dell’UE di declassare il grado di protezione del lupo da “specie di fauna strettamente protetta” a “specie di fauna protetta”. L’8 maggio scorso, il Parlamento europeo ha accolto tale modifica nella regolamentazione europea spostando il lupo dall’allegato IV della Direttiva Habitat, dove sono elencate le specie “rigorosamente protette”, all’allegato V, dove sono ricomprese le specie “di interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione”. Questo cambiamento darà maggiore flessibilità agli Stati membri nella gestione delle popolazioni di lupi, dato che si potrà fare ricorso alla più semplice alla misura del prelievo invece che dover agire in deroga alla Direttiva Habitat, fermo restando che per tutti i Paesi resterà l’obbligo di garantire il “buono stato di conservazione della specie” e di dimostrarlo con adeguati monitoraggi.
La situazione in Italia
E in Italia? La Direttiva Habitat è recepita dal DPR 357/97, che andrà dunque aggiornato per dare il via a qualsiasi modifica gestionale, ma si riflette anche nella LN 157/92, dove il lupo è elencato come “particolarmente protetto” (art. 2) e non è, ovviamente, ricompreso tra le specie cacciabili (art. 18). Modifiche normative che potrebbero non essere rapide né particolarmente semplici, ma che nelle regioni e province a statuto speciale potrebbero invece determinare trasformazioni più rapide, agevolate dall’autonomia. Ma, come detto, sempre nel rispetto di eventuali piani di prelievo che dovranno inserirsi in un contesto più ampio e ottenere il via libera dell’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale – ISPRA, che dovrà indicare una quota di prelievo compatibile con gli obiettivi di tutela. Il tutto nell’attesa che si riesca a licenziare un piano nazionale per la conservazione e gestione del lupo che il nostro Paese aspetta da più di 20 anni.
Chiarito questo complesso iter normativo, non resta che chiedersi come mai la comunità scientifica sia contraria al declassamento. Secondo la LCIE e secondo i maggiori esperti di lupo europei, manca una giustificazione scientifica (i lupi sono aumentati, ma non ovunque e non in modo omogeneo), si rischia di compromettere lo stato di conservazione delle popolazioni di lupo così faticosamente raggiunto e, soprattutto, i presupposti socio-economici sono errati. Le affermazioni secondo cui il declassamento risolverebbe i conflitti, diminuendo i danni al bestiame, sono infatti prive di solide evidenze scientifiche.