I 25 anni della Società di Medicina di Montagna celebrati con un interessante convegno in Val di Sesto

Alta quota, soccorso, esercizio fisico e forest bathing, specificità delle donne ad alta quota, come utilizzare al meglio i droni. Tanti, e di stretta attualità, i temi affrontati dai medici e dai ricercatori della SIMeM

Una grande forza al servizio degli escursionisti, degli alpinisti, di chi vive in montagna, tutti coloro che praticano e amano le alte quote. Non si può definire in modo migliore la Società Italiana di Medicina di Montagna (SIMeM), che celebra quest’anno i suoi primi 25 anni di vita (è stata fondata nel 1999 ad Arabba), e che sabato 28 settembre ha dato vita a un importante convegno a Sesto, nel cuore delle Dolomiti altoatesine. 

“Oggi faremo il punto sulla nostra conoscenza dell’adattamento umano alla quota, sui temi legati al soccorso in montagna, sulla fisiologia delle donne ad alta quota”, ha detto Giacomo Strapazzon, presidente della SIMeM, nella sua introduzione. “Bisogna passare da una Sanità malatocentrica a una Sanità salutocentrica”, ha aggiunto in un saluto non formale Hubert Messner, medico, assessore alla Salute della Provincia di Bolzano, avventuriero, alpinista e fratello del celeberrimo Reinhold. 

Dopo i saluti iniziali, è toccato a Marco Maggiorini, medico e ricercatore italiano dell’Ospedale universitario di Zurigo, il compito di fare il punto sulle conoscenze in materia di mal di montagna acuto (che in inglese si chiama Acute Mountain Sickness, AMS), e soprattutto sull’edema cerebrale e sull’edema polmonare, le due sindromi potenzialmente mortali legate all’alta e altissima quota. 

Alcune cose affermate da Maggiorini sono note da tempo, come la necessità prima di salire più in alto di dormire qualche notte ad almeno 2500 metri di quota, e il pericolo di una vetta come il Kilimanjaro, 5895 metri, che si raggiunge salendo troppo velocemente di quota. Quanto alla profilassi, il professore ha spiegato che nuovi farmaci arrivati da poco sul mercato consentono di curare meglio che in passato i casi di gravità media o alta. 

Di grande fascino per chi ama la storia dell’alpinismo l’intervento del professor Guido Ferretti, dell’Università di Brescia, che ha messo a confronto la prima ascensione dell’Everest compiuta da Edmund Hillary e Tenzing Norgay nel 1953 con la prima senza ossigeno di Reinhold Messner e Peter Habeler nel 1978. 

Più degli alpinisti e dei loro exploit, Ferretti ha messo a confronto i fisiologi che li hanno aiutati nella preparazione. Per Griffith Pugh, che ha seguito la spedizione britannica, “non era possibile raggiungere la vetta dell’Everest senza respiratori”. 

Oswald Ölz, il medico e alpinista austriaco che ha accompagnato Peter e Reinhold, conosceva invece gli studi realizzati dopo il 1953, che mostrano che sulla vetta c’è più ossigeno di quel che si pensasse. E ha quindi incoraggiato i due del 1978 a tentare.      

La dottoressa Lorenza Pratali, in uno degli interventi più seguiti, ha raccontato la sua esperienza come medico della spedizione “K2 70”, organizzata dal CAI, che ha tentato nel luglio scorso la seconda vetta della Terra. 

“Credevo di dovermi occupare delle 8 alpiniste italiane e pakistane, invece mi sono ritrovata a seguire la salute di 39 persone, tra portatori d’alta quota, personale del campo-base, membri del team RAI e di quello logistico. Durante l’avvicinamento ho dovuto tener d’occhio anche i 100 portatori d’alta quota”, ha ricordato con un sorriso Pratali. 

Alla domanda se esistono differenze tra donne e uomini nell’acclimatazione e nell’esposizione al mal di montagna ha tentato di rispondere Jacqueline Pichler Hefti, della Sportclinic di Berna. “E’ stato ipotizzato che gli ormoni femminili riducano il rischio di edema polmonare. Qualcuno utilizza una spiegazione psicologica, e dice che gli uomini si espongono di più ai rischi. La realtà è che serve più ricerca”, ha concluso la dottoressa svizzera.

L’austriaco Bernhard Reich, della Paracelsus University di Salisburgo, ha fatto il punto sui problemi medici legati a una specialità in rapida evoluzione come lo scialpinismo, che da forma di escursionismo invernale si è trasformato in uno sport olimpico, nel quale gli atleti forniscono prestazioni straordinarie. 

Ha avvicinato il dibattito alle esigenze di un pubblico meno sportivo il dottor Marco Vecchiato dell’Università di Padova, che ha ricordato l’importanza della qualità dell’aria per chi fa sport o semplicemente movimento. “Se si cammina accanto a una strada trafficata il beneficio del movimento sparisce, si sta ipotizzando se modificare la flora dei nostri parchi per creare un’atmosfera migliore”. 

Per il ricercatore padovano, in futuro avranno importanza sempre maggiore il Forest Bathing e la Forest Therapy, entrambe sempre più praticate anche nei boschi italiani. Il suo collega Nicola Borasio ha presentato la nuova App MOVE, messa a punto dal team dell’ateneo veneto, in grado di suggerire i sentieri più adatti a seconda dell’età, dell’allenamento e delle condizioni di salute di ognuno. Nell’escursione di domenica 29, che ha concluso gli eventi della SIMeM, la App è stata testata. 

Non abbiamo lo spazio per dar conto di tutti gli interventi nella lunga giornata di Sesto. La lunga e fattiva collaborazione dei medici e dei ricercatori della Società Italiana di Medicina di montagna con il Corpo Nazionale Soccorso Alpino, la Commissione Medica del CAI e altre realtà ha reso particolarmente interessanti gli interventi legati a questo tema. 

Se il dottor Maurizio Migliari ha ricordato il lavoro dell’AREU Lombardia, la struttura di soccorso regionale, l’altoatesino Simon Rauch ha spiegato i progressi dell’elisoccorso in montagna e gli studi sul materiale utilizzato (primi tra tutti i tubi per intubare). Di grande importanza in questo campo la collaborazione con il centro EURAC Research di Bolzano. 

Abraham Mejia Aguilar, non a caso ricercatore di EURAC, ha proiettato i partecipanti al convegno di Sesto nel futuro, illustrando l’uso odierno e le prospettive future per i droni, che attualmente possono recapitare un kit medico a infortunati non raggiungibili in elicottero o via terra, e che in futuro potranno evacuare malati o feriti. 

Come negli anni passati, uno dei pilastri della SIMeM è ancora il rapporto con l’Università di Padova, i cui partecipanti al Corso di perfezionamento in Medicina di Montagna hanno trascorso a Sesto una settimana, partecipando al convegno del 28. Accanto al futuro, però, c’è stato spazio anche per il passato. 

Il tenente colonnello Valerio Stella, vicecomandante della Scuola Militare Alpina di Aosta, ha ricordato che nei primi anni di vita della Scuola, che è stata fondata nel 1934 e quest’anno festeggia i 90 anni, al suo interno funzionava anche un laboratorio di ricerca. Guia Tagliapietra, ricercatrice dell’Università di Losanna, ha riferito di una recente ricerca nella quale i militari della SMALP sono stati utilizzati come “cavie”, con dei periodi di esercizio fisico intenso ad alta quota.  

Alla fine, dirigenti e giovani membri della Società Italiana di Montagna si sono confrontati sulle prospettive future, e sull’importanza di rendere il lavoro della SIMeM più visibile alla Sanità pubblica, alla stampa e alla televisione, e al pubblico. La conclusione dell’evento è stata affidata a Silvio “Gnaro” Mondinelli, che ha raccontato le sue esperienze sui 14 “ottomila” della Terra.   

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