Tra una guerra mondiale e l’altra. L’estate del 1934 tra nazisti, calciatori e grandi pareti
Il 1934 è un anno speciale per le Alpi, dove la corsa agli “ultimi problemi” porta le migliori cordate europee sull’Eiger, sulle Jorasses e sull’Oisans. Vengono tentati il Nanga Parbat (con una strage) e i Gasherbrum. Intanto l’Italia di Pozzo vince la Coppa Rimet di calcio, e la Seconda Guerra Mondiale si avvicina

Nella storia del football italiano il 1934 è l’anno del primo trionfo ai Mondiali. Dopo aver asfaltato 7-1 gli Stati Uniti, gli azzurri di Vittorio Pozzo faticano con due striminziti 1-0 contro la Spagna e l’Austria. La finale del 10 giugno contro la Cecoslovacchia è una battaglia. L’Italia va sotto con un gol del ceco Antonin Puč, pareggia grazie a Raimundo Orsi, un argentino naturalizzato, vince nei supplementari grazie ad Angelo Schiavio.
Oltre che un evento sportivo, la Coppa Rimet del 1934 è un evento squisitamente politico. La finale si gioca a Roma, nello Stadio del Partito Nazionale Fascista (oggi il Flaminio), dopo la vittoria l’allenatore e i calciatori fanno il saluto romano. In tutta la Penisola si festeggia, e intanto sull’Europa e sul mondo si addensano nere nuvole di tempesta.
In Germania, venti giorni dopo la finale di Roma, nella “notte dei lunghi coltelli” tra il 29 e il 30 giugno, le SS di Heinrich Himmler massacrano le “camicie brune”, ovvero le SA di Ernst Röhm. Ad agosto Adolf Hitler, che un anno prima ha vinto le elezioni e cacciato gli oppositori dal Parlamento, si attribuisce il titolo di Führer, guida suprema. Pochi anni dopo l’Austria e la Cecoslovacchia, due delle quattro semifinaliste dei Mondiali italiani, saranno inglobate nel Terzo Reich.
Non c’è solo la Germania. In Spagna, nell’ottobre del 1934, la breve rivoluzione socialista delle Asturie viene schiacciata dalle truppe coloniali dei generali Eduardo López Ochoa e Francisco Franco, appositamente arrivate dal Marocco. Un meccanismo che si ripeterà due anni dopo, gettando il paese nella Guerra Civile.
A dicembre, gli scontri intorno all’oasi di Ual Ual sono la prima scintilla dell’attacco dell’Italia fascista all’Etiopia, che si scatenerà nel 1935. Nell’Unione Sovietica di Stalin il 1934 vede l’inizio delle “grandi purghe”, che costeranno la vita a oltre 200.000 veri o presunti oppositori, e spediranno molti altri nei gulag.
Nella terribile storia dell’Europa del Novecento, i primi anni Trenta segnano un momento di svolta. Dagli anni che seguono la Prima Guerra Mondiale, con rivoluzioni fallite e riuscite, annessioni dolorose come quella dell’Alto Adige all’Italia, crisi economiche come quella che stronca la Germania di Weimar, si passa rapidamente agli anni che portano verso il conflitto successivo.
Hitler e Mussolini sembrano non avere rivali, i loro emuli (in Spagna e non solo) iniziano a darsi da fare, nella Germania che si trasforma nel Terzo Reich iniziano le persecuzioni degli ebrei. Pure, dallo sport fino all’arte e alla scienza, l’umanità sembra vivere un momento di energia straordinaria, non di rado venata di follia. Vale anche per l’alpinismo, sulle Alpi e nel resto del mondo.
Entusiasmo e follia s’intrecciano nell’impresa del pilota britannico Maurice Wilson, che vola con il suo biplano dall’Inghilterra all’India, entra clandestinamente in Tibet, tenta senza permessi l’Everest e muore il 31 maggio a 6900 metri di quota. Il suo corpo sarà ritrovato un anno dopo, dagli inglesi guidati da Eric Shipton.
La tragedia del Nanga Parbat
Non c’è la follia, ma l’appoggio finanziario del regime nazista, nella spedizione austro-tedesca che tenta il Nanga Parbat nel 1934. Il 6 luglio Erwin Schneider e Peter Aschenbrenner sfiorano gli 8000 metri di quota, all’inizio dell’interminabile cresta che conduce alla cima. La spedizione, però, finisce con una spaventosa tragedia, dato che l’alta quota e il maltempo uccidono tre europei (Uli Wieland, Willo Welzenbach e il capospedizione Willy Merkl) e ben sette Sherpa.
Non ha rapporti con le dittature la International Karakorum Expedition del 1934, diretta dal geologo tedesco Günter Oskar Dyrenfurth, che nel 1930 ha tentato il Kangchenjunga, e che diventa cittadino svizzero prima dell’arrivo al potere di Hitler. Quattro anni dopo, organizza il primo tentativo di salire i Gasherbrum, con la partecipazione di alpinisti famosi come il piemontese Piero Ghiglione, il tedesco Hans Ertl e lo svizzero André Roch.
La stessa bufera che fa strage sul Nanga Parbat li respinge sull’Hidden Peak, poi il gruppo sale il Sia Kangri e il Baltoro Kangri (7422 e 7312 metri). Il regista ungherese Endre Marton e il suo team girano il film “Der Dämon des Himalaya” (“Il demone dell’Himalaya”). Nel 1936, alle Olimpiadi di Berlino, Günter e sua moglie Nettie ottengono una medaglia per l’alpinismo.
Quante imprese sulle Alpi
Ma è sulle Alpi, soprattutto, che le grandi energie del 1934 consentono una lunga serie di imprese. A luglio, i trentini Bruno Detassis ed Enrico Giordani aprono la Via delle Guide sulla parete Est nord est del Crozzon di Brenta, e poi – con Ulisse Battistata – superano la parete Nord est della Brenta Alta.
Nel massiccio del Bianco, all’inizio di luglio, i francesi Armand Charlet e Robert Gréloz, tentano in scarponi chiodati e senza chiodi la parete Nord delle Grandes Jorasses lungo lo Sperone Croz. Dopo la loro ritirata ci provano i tedeschi Martin Meier e Ludwig Steinauer, e poi gli italiani Renato Chabod e Giusto Gervasutti, “il Fortissimo”.
Dopo la rinuncia sulla Croz, Gervasutti si lega in cordata con il parigino Lucien Devies per aprire una via straordinaria sulla parete Nord dell’Olan, sul massiccio francese dell’Oisans, una muraglia che regge il confronto con le Jorasses. A settembre, nello stesso massiccio, i francesi Pierre Allain, Raymond Leininger e Jean Vernet aprono una via diretta sulla gigantesca parete Sud della Meije.
A nord-est del Monte Bianco, nell’Oberland Bernese, l’estate del 1934 vede il primo tentativo alla gigantesca parete Nord dell’Eiger. I suoi protagonisti, i tedeschi Willy Beck, Kurt Löwinger e Georg Löwinger affrontano la base della muraglia, poi scendono sani e salvi. Un anno dopo la morte di altri due germanici, Karl Mehringer e Max Sedlmeyer, renderà l’Eiger (“l’Orco”) una cima tristemente famosa.
Un altro “Eiger”, però, nel 1934 viene finalmente salito. E’ la parete Nord del Monte Camicia, nella catena del Gran Sasso, una muraglia di calcare friabile ed erba alta 1200 metri e larga più di quattro chilometri. Ci riescono due “Aquilotti” di Pietracamela, Bruno Marsilii e Antonio Panza, il 20 settembre, l’ultimo giorno d’estate.
Salgono in bello stile nonostante le pedule di feltro e corda, superano tratti di quinto grado, rischiano di morire quando l’uscita di un chiodo li fa cadere su una cengia erbosa a metà parete. All’uscita Antonio e Bruno trovano placche di roccia migliore e un violento temporale. Escono, tornano a valle e non vengono creduti. La colpa è della politica.
Il capoluogo Teramo è saldamente fascista, Pietracamela è un noto covo di sovversivi e socialisti, quindi la vittoria degli Aquilotti sul Camicia non viene omologata e accettata. Due anni dopo, a Ferragosto, Marsilii e Panza ripetono la loro via con una variante diretta, lasciano come prova del loro passaggio una maglia legata a un chiodo. Una maglia rossa, che certifica la loro vittoria ma che non rasserena affatto gli animi.