Ghiaccio, quale futuro per le gare?
BERGAMO — Spettacolo, movimento, energia e sfida. A metà tra le cascate di ghiaccio e l’arrampicata sportiva, l’ice climbing è una disciplina che conta sempre più appassionati ma che deve ancora trovare una sua precisa identità. A fare il punto sullo sviluppo di questo sport è Maurizio Gallo, uno degli organizzatori della coppa del mondo in Val Daone, evento che non più tardi di qualche settimana fa ha radunato in Trentino i migliori atleti del settore e migliaia di spettatori.
Complessivamente molto bene, anche se ci sono alcune questioni che dovranno essere chiarite nel futuro, come quella dei regolamenti che risalgono a molti anni fa e, secondo me, sotto molti aspetti andrebbero semplificati lasciando ai tracciatori e agli organizzatori maggior autonomia. Così come sono, penalizzano un po’ lo spettacolo.
In che senso?
Per esempio, in Val Daone avevamo due strutture per le gare: torri da 30 metri. Sono alte, quindi abbiamo deciso per l’arrampicata con corda dal basso. Ma così i giudici hanno fatto rientrare la prova nel meccanismo delle gare di difficoltà, dove se cadi vai a casa. E’ un peccato, perchè la cosa bella del Daone Icemaster è che riuscivamo a far arrampicare più persone contemporaneamente su più boulder. Era bello sia per gli atleti che per il pubblico. Ma quest’anno non si è potuto fare.
Qual è la sua idea per migliorare le cose?
Secondo me la distinzione tra boulder e difficoltà è ormai un capitolo chiuso. Dovrebbero essere una categoria sola con un regolamento più elastico, che possa dare a questi eventi un aspetto più vivace e coreografico. Sarebbe bello avere nuovi tracciatori e attirare nuovi atleti. Sul piano tecnico, poi, bisognerebbe risolvere la questione dello sperone dietro il rampone, che quest’anno è stato vietato.
Come mai?
C’è stata una forte pressione da parte degli atleti più "puristi", come Will Gadd e in Italia Bubu Bole, con tanto di raccolta di firme, che ha indotto l’Uiaa a prendere questa decisione. Lo hanno fatto perchè grazie allo sperone, molte donne facevano riposi lunghi durante l’arrampicata e risolvevano vie che loro ritenevano il loro limite. Ma così, è diventata solo ed esclusivamente una questione di forza, e per tanti atleti molte strutture, specialmente i tetti ghiacciati, sono diventate quasi invalicabili. E lo spettacolo ne perde.
Meno performance sul ghiaccio?
Sì. Così tutta la gara finisce per essere sul dry tooling. Una disciplina dove paradossalmente il ghiaccio non si vede nemmeno. Se è la coppa del mondo di ghiaccio, i media vogliono vedere ghiaccio. E poi lo sperone dava modo di vedere posizioni e movimenti diversi dal solito. Adesso è diventato tutto una brutta copia delle gare di arrampicata. Invece bisogna che queste gare trovino una loro personalità, che non può prescindere dalle superfici ghiacciate.
Pensa che in futuro le cose miglioreranno?
Credo di sì. Molti sono pessimisti, dicono che sono sempre i soliti atleti, che il circuito non decolla. Ma secondo me ci sono buone opportunità. L’Uiaa ha fiducia nel ghiaccio. In Trentino sono in cantiere nuove strutture. Quest’anno poi ho visto molte facce nuove, soprattutto nella categoria femminile. Ragazze provenienti dal mondo dell’arrampicata. E c’era molto pubblico: alla finale hanno assistito tre o quattromila persone.