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Un olandese, un sudcoreano. Il Giro a modo loro.

di Carlo Brena

giro siusi
foto @gazzetta.it

CASTELROTTO, Bolzano — Da Castelrotto a all’Alpe di Siusi c’è una strada che sale, e sale tanto. È una lingua di asfalto che entra nelle Dolomiti e si conquista spazio tra abeti e larici, sotto lo sguardo spigoloso e così inconsueto dello Sciliar. Pendenze importanti che costringono a scalare di marcia quando ci entri in macchina, o che impongono rapporti agili, molto agili, se decidi di farla in bici. La strada si spegne ai 1.800 metri di quota di Compaccio con un bel pianoro, e solo se ci vieni capisci perché ti trovi sull’altipiano più grande d’Europa: praticamente ci si trova in montagna, ma senza montagne, perché le montagne sono molto lontane, così lontane che sembrano vicino che quasi le toccheresti con una mano. È per questo gioco di dimensioni che la strada che porta qui è il corridoio al tinello delle emozioni, ed è la strada giusta per vivere una sfida, magari in una tappa del Giro d’Italia, magari con i grandi del ciclismo, magari con Nibali (il siciliano) o Valverde (il mursiano) due che dicevano di voler vincere e che oggi si misurano con degli outsider come Chaves (il colombiano) o come l’olandesino volante Kruijswijk, che a pronunciarlo ci si graffia la gola e che solo la Maglia Rosa riesce ad addolcirne la pronuncia. L’ha conquistata ieri nella tappa dolomitica, l’ha difesa oggi nella cronoscalata. Lui, che è nato dove le salite sono dei cavalcavia sulle autostrade, Kruijswijk è (per il momento) il re delle Alpi.

La strada che sale è il quadro in bianco e nero del dramma e della sofferenza di ogni pedalata, il pubblico, invece, è la cornice colorata di una immagine che porta alla redenzione la sofferenza del ciclista. Un binario di appassionati, a volte troppo esagitati, dentro il quale i 167 ciclisti rimasti ancora in gara, passano uno alla volta e lottano contro le lancette di un cronometro sempre troppo veloce per i propri gusti. Il pubblico li sostiene con urla, applausi, cartelli, striscioni, campane. È il gran bazar del tifo. Tra loro un signore punta il cannocchiale dapprima verso valle, alla ricerca del prossimo ciclista, e poi alza il tiro alla parete della Punta Santner, la guglia che sembra aver litigato con lo Sciliar tanto da volersene andare. Il binocolo punta sullo spigolo nord-ovest dove una cordata di alpinisti ha deciso di godersi il Giro da lì, bontà loro. Altri invece la corsa rosa se la godono non vedendola, o meglio anticipandola, come quel sudcoreano incontrato ieri che a bordo della propria bici in carbonio e di un voluminoso e quanto mai pesante zaino, anticipa di un giorno tutte le tappe alpine. Cosa racconterà a casa non ci è dato saperlo. Gente strana c’è in giro, gente che dà del tu alla fatica. Un olandese e un coreano, per esempio, uniti da un sottile filo rosso. È il ciclismo bellezza, e tu non puoi farci niente.

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