AlpinismoAlta quota

Ali Sadpara, l’“eroe” del Nanga parte per il Makalu e il Manaslu

ISLAMABAD, Pakistan – “Perché ci vai?” Gli chiede il giornalista. “Perché mi piace”. Semplice ed efficace.

Che a pronunciare la frase sia Ali non mi stupisce, lui è un uomo ed un alpinista semplice ed efficace.

Ali Sadpara, del villaggio di Sadpara, a mezz’ora di auto da Skardu verso le montagne del Deosai, ha iniziato a frequentare la montagna come portatore lungo il ghiacciaio del Baltoro nel 2000.

“Sono andato lì per vedere i miei amici che lavoravano come portatori. Ho amato le montagne ed ho iniziato a lavorare anch’io come portatore. Dopo due anni ho trovato un lavoro come portatore d’alta quota nella spedizione al K2 del 2004. Adoro queste montagne, mi danno un senso di pace e tranquillità.”

Una dichiarazione insospettabile, che conferma ancora una volta la maturità anche culturale di questi nostri amici pakistani, che frequentano le montagne con le stesse passioni che la tradizione alpinistica ci ha tramandato.
“Ho salito il G1 nel 2010, il G2 due volte ed il  Nanga Parbat nel 2008 e 2009, ho anche partecipato a spedizioni che hanno salito il Broad Peak.
Il 2 aprile vado in Nepal per le spedizioni al Makalu e al  Manaslu, l’ottava e la quinta montagna più alte del mondo. La gente mi chiede perché lo faccio. Dico semplicemente che senza la montagna non posso vivere “, ha spiegato Ali.
Il Nanga Parbat lo ha segnato positivamente , è una montagna diversa dalle altre: “c’è molta meno informazione sulla ” Killer Mountain” e questo la rende più pericolosa. Inoltre la parte sommitale è particolarmente ripida e gli strati di roccia e ghiaccio rendono difficile salire. In inverno diventa ancor più gelida e piena di neve.  Il meteo può diventare particolarmente pericoloso anche perché la salita si svolge su creste e ghiacciai sospesi che possono uccidere gli alpinisti”.

A questo punto Ali torna con il pensiero all’avventura invernale appena conclusa.

“Io, Alex Txikon e Daniele Nardi e gli altri membri del team abbiamo studiato questa montagna negli ultimi tre anni. La chiave del successo è stata la pazienza: bisogna capire lo stato d’animo degli alpinisti e, in secondo luogo, imparare dai propri errori come abbiamo fatto noi. Quest’anno non abbiamo ripetuto gli errori che abbiamo fatto l’anno scorso, quando siamo partiti per la vetta alle 3 del mattino, quest’anno siamo partiti alle 6.”  Soffrendo meno il terribile freddo delle ore che precedono l’alba in altissima quota. “Abbiamo installato  il nostro campo da 100 a 150 metri più in alto ” dice Ali.
Circa il futuro dell’arrampicata in Pakistan, Ali afferma che è desolante. “Ci sono pochi come me, Hassan Sadpara e Samina Baig. Siamo 10 o 12 scalatori d’alta quota in Pakistan e dopo di noi, non c’è nessuno”. Anche se qualche giovane, che ha partecipato alla prima spedizione pakistana al k2 del 2014, arrivando in vetta, si sta facendo strada.

Ali lamenta che l’Alpine Club of Pakistan non aiuta a sufficienza i giovani, ma nemmeno le Agenzie di trekking lo fanno e francamente è difficile capire come il giovane governo del Gilgit Baltistan possa supportare l’attività alpinistica. Per la verità il Dipartimento del turismo talvolta lo fa: agli 8 alpinisti che hanno salito il K2 nel 2014 il governo ha dato un rimborso di un migliaio di dollari a testa, poco, è vero, ma è un inizio, un incoraggiamento e poi anche la migliorata economia pakistana sta portando gente sulle montagne. Il turismo nazionale in Gilgit Baltistan è aumentato del 500% e forse gli alpinisti pakistani si metteranno insieme per trovare degli sponsor privati. Al K2 nel 2014 Moncler li aveva aiutati pagando tutte le spese logistiche e tecniche.

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Photo Alex Txikon Facebook page

“Ho chiesto al governo e voglio lanciare attraverso i media il messaggio che i nostri giovani hanno un potenziale immenso, dobbiamo anche ottenere sponsorizzazioni, voglio solo che il club alpino ed il  governo istituiscano  una squadra pakistana di alpinisti”.

Una richiesta comprensibile, ma poco in linea con lo spirito dell’alpinismo attuale.
Continua Ali: “I nepalesi sherpa si sono presi interamente la nostra opportunità di lavorare sulle montagne perché sono scalatori più professionali e capaci”. Ali dimentica forse che proprio i “nepalesi” i risultati economici nella gestione delle spedizioni commerciali li hanno ottenuti con l’imprenditoria privata, associandosi, rischiando di loro, con qualche eccesso e dramma di troppo.

Quest’anno la maggior parte degli alpinisti impegnati in Karakorum ed al K2 sono gestiti da un’organizzazione nepalese, ma in accordo con una agenzia pakistana. A volte nemmeno i cuochi ai campi base sono pakistani, altro che guide d’alta quota. In questo Ali ha tutte le ragioni.

“Gli alpinisti che raggiungono la vetta su queste montagne scattano foto di bandiere e degli sponsor dei loro paesi ed io, come pakistano, a volte non ho potuto farlo, perché non sono stato sponsorizzato. In questa ultima salita ho avuto il tempo di scattare una foto con la bandiera del Pakistan e non riesco nemmeno a spiegare la sensazione di orgoglio che ho avuto in quel momento”

Nelle cronache dell’inverno al Nanga abbiamo raccontato quest’orgoglio.

Ali prosegue “Con le spedizioni straniere facciamo noi tutto il lavoro duro, come mettere le corde per gli scalatori, ma non otteniamo credito, questo perché non abbiamo appoggio dal governo”.  Semplice ed efficace. Bravo Ali.

 

(Fonte intervista: 4sport.ua)

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5 Commenti

  1. Da Fazio ci andarono anche Bonatti e Messner, andare da Fazio non è mica un delitto. Però ringrazio per questi messaggi ridicoli, mi fate ridere il lunedì, giorno faticoso in queste pareti fredde delle Dolomiti.

    1. Penso Lei si riferisse al fatto che Moro è nel pieno della ribalta mediatica, e Alì rimane nell’ombra, umilmente. Ho forse capito male? 🙂
      Guardi comunque che non sono polemico in merito alla sua dichiarazione, che può anche essere più che lecita, ci mancherebbe, è che tutto il palco di lamentele nei confronti della vicenda “Nanga-Moro” è diventato pesante, a mio avviso.

  2. non sarebbe pesante se non fossero avvenuti “fatti pesanti” al CB .
    non è questione di chi ha o meno tanta ribalta mediatica, è che bisogna poi stare attenti a bullarsi tanto di una cima strappata facendo cacciare via un altro alpinista e facendo valere la propria forza non solo alpinistica ma soprattutto “commerciale”.
    Rimarrà nella storia come rimarrà nella storia che è stato un 8000 fatto esclusivamente di resistenza al Campo Base, jumaring fino a 6700 metri e il resto a farsi guidare da un professionista pagato di un’altra spedizione, dopo aver cianciato per mesi sulla sua “spedizione silenziosa, avventurosa,in stile alpino e leggero, su una via mai compiuta”.

    Per non parlare dello scarsissimo risultato sulla via Messner, dove i due “poveracci” ma tostissimi alpinisti Revol&Mackiewitz hanno raggiunto oltre quota 7500 e l’anno scorso 7800, Moro non ha mai visto nemmeno i 7000 col binocolo su quella via perchè gli faceva paura

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