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“Che tempo che fa” sul Nanga Parbat

In attesa dell’annunciato film (crediamo d’aver capito sull’invernale al Nanga), mi chiedo chi sarà la controfigura di Nardi.

Simone Moro fa tappa all’iper salotto di Fazio, grande appassionato di alpinismo, che dice d’avere una vera e propria devozione per l’alta montagna, che frequenta in compagnia dell’inossidabile Abele Blanc, guida alpina della Valle d’Aosta, che venne con me all’Everest (era il suo primo 8000) nel 1992. Abele è uno tosto e con Fazio pare si sia trovato in vetta al Monte Bianco il giorno dell’arrivo in vetta di “Monte Bianco”, cioè dei concorrenti del Reality di RAI 2. Pare che Abele e Fazio non abbiano completamente gradito il frastuono degli elicotteri, ma questa è un’altra storia.

Tornando al salotto tv de “Che tempo che fa”, era evidente l’emozione di Simone che, nonostante la consuetudine alla ribalta, si commuove parlando del suo Nanga Parbat, con gli occhi quasi lucidi e il cuore ancora in vetta.

Racconta le sue salite all’Everest, l’elicottero con il quale ha lavorato in Nepal e salvato parecchie persone, dei suoi quattro ottomila in inverno e senza l’uso dell’ossigeno, della fatica dei cinque passi prima di fermarsi per un intero minuto a riprendere fiato, della velocità del vento, anche il giorno della vetta, della temperatura percepita e di quella probabilmente reale. Fa esempi per far capire, comunicare cosa vuol dire essere là: come sull’ala di un aereo di linea, a oltre 8000 metri.

È una comunicazione diretta ed emotiva, forse iperbolica per le orecchie di vecchi alpinisti, forse poco tecnica per i meteorologi, ma incisiva, cha fa comprendere il pathos, la fatica.

La gioia invece è, secondo Simone, frutto della grande fatica spesa ed è il motore e la motivazione della vita. Certo interpretata da ognuno, anche se vien da pensare che è difficile spiegare la gioia ai siriani, ai bimbi denutriti del Sael, a chi vive nei campi profughi, ai nostri amici pakistani che camminano nella neve. Ma forse è proprio questa la speranza.

Il Nanga incombe ancora su Tamara che rinuncia con grande generosità alla vetta, a 70 metri di dislivello dall’obbiettivo, per non attardare pericolosamente i compagni. Nessun accenno, ma il tempo è tiranno, ad Ali e Txikon, se non al fatto che erano in 4 lassù in cima.

C’erano anche altre spedizioni e compagni di cordata, Elisabeth e Tomek, che erano sulla stessa via da lui scelta all’inizio della spedizione, Nardi, Bielecki e Czech, che erano sulla via per la quale è andato in vetta, ma non c’è stato tempo di dire. Pazienza ci sarà spazio e modo di parlarne nel prossimo film.

 

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