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Che fine farà il Cai? Dite la vostra

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ROMA — Cai sì, Cai no, Cai forse. E’ su tutte le pagine dei giornali la questione del Club Alpino Italiano finito nella "lista nera" della finanziaria, che propone drastici tagli agli enti pubblici. La proposta, ancora tutta da discutere, ha fatto levare un coro di voci scandalizzate a difesa della storica istituzione montana. Ma il Cai, è davvero in pericolo? No, a quanto pare. Si tratta solo di decidere se tornare ad essere ente privato oppure rimanere pubblico.

"Il Club Alpino Italiano è nato come istituzione privata – spiega Silvio Calvi, rappresentante Cai all’interno dell’Uiaa -. Poi è diventato pubblico durante il ventennio fascista, è tornato privato dopo la guerra ed è ritornato pubblico nel 1961 con la legge istitutiva e con notevoli dissensi. Ora si tratterebbe semplicemente di tornare ad essere quello che si era prima".

Niente soppressioni quindi. Nè valutazioni di merito su quanto sia utile l’istituzione: lo è, nessuno sembra metterlo in dubbio. Basta pensare ai corsi di formazione, alla promozione della cultura di montagna, alle palestre di arrampicata e alla gestione dei rifugi. Ma non per questo – sostengono alcuni – deve essere per forza un ente statale.

"Se penso alle altre Associazioni alpinistiche estere – aggiunge Calvi -, siamo un pesce fuor d’acqua: a molte di loro viene dato il riconoscimento pubblico, ma non certo il ruolo di ente pubblico, rendendo molto più snella ed efficace l’azione a favore della montagna e degli alpinisti e comunque ricevendo contributi sostanziali per il lavoro e i progetti svolti".

"Lo stato attuale di ente pubblico non economico – prosegue il consigliere – comporta anche notevoli disagi alla sede centrale del Cai. Per esempio quelli legati alle normative per gli enti pubblici, che due anni fa bloccarono le assunzioni e ora vogliono imporre tagli sul personale. Viene da chiedersi se conviene restare nella sfera pubblica, che peraltro incide poco nel bilancio del Cai, fatto essenzialmente della capacità e dell’impegno dei soci volontari".

Il provvedimento proposto dalla finanziaria, quindi, potrebbe anche non essere così rivoluzionario. "In effetti non vedo perchè il Cai debba essere un ente pubblico – spiega Paola Gigliotti, membro del board Uiaa -. Non penso che ci debba essere un ente di stato per l’alpinismo. La valutazione è sicuramente complessa, ma di primo acchito, l’impressione è che il Cai potrebbe stare in piedi con le quote associative e la privatizzazione potrebbe favorire anche lo sveltimento della burocrazia all’interno dell’istituzione".

Di parere contrario Roberto De Martin, ex presidente generale del Cai. "Sarebbe una mossa improvvida e per certi versi autolesionista – dichiara Roberto De Martin, già presidente generale del Cai -. Basta pensare a quanto costano il soccorso alpino e certi servizi che noi facciamo in Italia poggiandoci sul volontariato. Credo che chi ha l’onere e l’onore di reggere le sorti del Paese, a ragion veduta dovrebbe tenerne conto".
 
"Purtroppo non è la prima volta che si avanza questa proposta – aggiunge De Martin -. Anche durante la mia presidenza c’è stato il rischio di una gelata, ma una maggioranza trasversale in parlamento ha bloccato quest’ipotesi con un emendamento il cui primo firmatario era un parlamentare della Lega Nord. Sarebbe incredibile se adesso che la Lega ha così largo potere al governo, dovesse accadere il contrario. Ma credo che il parlamento sarà altrettanto saggio anche nel 2008. Una privatizzazione? D’intesa col governo, anni fa, abbiamo ritenuto che un rilievo pubblico fosse un elemento utile a entrambi i fronti e questo aspetto oggi è altrettanto attuale".

Insomma, i pareri sono discordanti e la questione è spinosa. Forse, si tratta solo di vederla da un altro lato. "La scelta fra pubblico e privato può essere vista come un’occasione – conclude Silvio Calvi -. Se non viene colta, pazienza: sono certo che i volontari continueranno a lavorare, tanto più che la realtà del Cai è radicata nelle Sezioni, per le quali il decreto legge in discussione non comporta alcuna modifica".
 
 E voi che cosa ne pensate? Ditelo a Montagna.tv!

 
 
Sara Sottocornola
 
 
 
 
Il CAI quanto tale può tranquillamente vivere come associazione privata, cosa diversa è per il soccorso alpino in quanto tale. Senza i contributi statali e regionali penso non sia possibile mantenere il servizio con le sole quote associative. A distruggere si fà presto, ma a ricosttruire ci vogliono anni.
Lorenzo

Premetto che solo un semplice "utente" della montagna, non sono un rifugista, non sono guida (e non lo sarò mai), non sono un istruttore CAI (e non lo sarò mai) ecc…Conosco però guide, rifugisti, istruttori CAI, membri del CAAI, in pratica  un pò di tutte le categorie di persone che appartengono a questa macchina. Questa premessa per dire che quello che dico non ha interessi nascosti, ma è solo una visione esterna. Io ho sempre avuto il mio parere spesso molto negativo riguardo al CAI. Mi viene spesso raccontano di come il CAI sperperi soldi in abbondanza in certi rifugi e faccia fatica a darne ad altri a volte molto più bisognosi. Conosco molto poco, sono sincero, il funzionamento interno di questo organo gigante, macchinoso e vecchio, ma visto da  fuori si percepisce una gestione molto approssimativa. Per intenderci io personalmente percepisco una gestione classica da ente pubblico italiano: finanziamenti dati senza controlli e quindi che non rispecchiano le reali esigenze… parlo di rifugi "ricchi" (e ci sono…) che ricevono fior di finanziamenti gonfiati, contro rifugi che sopravvivono e ricevono finanziamenti al limite dei lavori da fare… quando li ricevono. Come nel classico italiano, se conosci ricevi se non conosci… amen! Se non sei onesto riesci e sei onesto…amen ancora! E i controlli?? Mah… pressochè inesistenti! Quindi a parere mio penso che una privatizzazione potrebbe essere un bene. Quando le casse sono controllate, sono controllati anche i finanziamenti elargiti (almeno credo) con i soldi contenuti in queste! Poi a mio avviso c’è sempre la questione guide. Trovo assurdo che il CAI e guide non siano insieme a collaborare. Trovo assurdo che non siano guide – almeno – i direttori dei corsi CAI. Trovo assurda l’arroganza di alcuni istruttori CAI che in teoria non dovrebbero fare la parte del leone in montagna che invece fanno. O la vorrebbero fare. Trovo assurdo il fatto che il CAI difenda il suo lavoro e attacchi il lavoro delle guide (che per altro ai fini di legge sono gli unici a poter avere certe responsabilità in montagna). Trovo assurdo che gli istruttori facciano corsi di preparazione che nulla hanno a che vedere con l’iter di preparazione di una guida. Detto questo, conosco istruttori molto competenti, ma altri, per quanto brave persone, non li reputo preparati a fare l’istruttore. Eppure lo fanno! Altre cose ci sarebbero da dire, ma mi fermo e concludo dicendo che un organo che controlla il "mondo montagna" serve, ma deve essere una cosa più moderna, snella, al passo coi tempi, ma soprattutto libera dall’astio per molte cose che il CAI si porta dietro da tempi infiniti….Sono tutti pareri puramente personali e quindi anche errati probabilmente!
Stefano

Probabilmente e’ meglio staccarsi dal carrozzone pubblico nel nostro e nel bene della Nazione sicuramente bisognerà trovare le risorse finanziarie sufficienti che portebbero essere reperite. In "non contributo" allo Stato centrale "senza fare del seccessionismo" ma utilizzanto le Leggi già esistenti per le regioni autonome.
Claudio

Secondo me’ le cose private vengono gestite meglio. Dopotutto e’ un Club dove si paga una quota di iscrizione per cui non capisco perche’ debba essere pubblico, se lo gestiscano con i propi soldi o volontari.
Saluti
Bafo77

Che ritorni privato.
Pierluigi
 
 
 
 
 

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