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Mondinelli: ha ragione Messner. L’arrampicata va avanti, l’alpinismo va indietro

GARDONE VALTROMPIA, Brescia — “E’ brutto pensare che l’alpinismo sia finito. Ma se guardo le notizie di montagna, mi viene da pensare che forse Messner abbia ragione, anche se lui forse è un po’ drastico. A parte casi sporadici però quell’alpinismo sembra davvero al tramonto, per molti di quelli che oggi vanno in Himalaya”. E’ un po’ amara la considerazione di Silvio “Gnaro” Mondinelli, uno degli esponenti più di spiacco dell’alpinismo italiano, sul dibattito nato dalle dichiarazioni sulla fine dell’alpinismo fatte da Reinhold Messner in occasione del suo 70esimo compleanno.

Il tempo passa ma il dibattito continua. Segno che l’alpinismo, il suo futuro e il suo fallimento sono tema caldo per chi di montagna s’intende e s’appassiona. Ad intervenire oggi è Mondinelli, 14 ottomila senza ossigeno, due volte in cima all’Everest da Nord e da Sud, e innumerevoli soccorsi in alta quota.

“Messner forse è un po’ drastico, io no, ci tengo a sottolinearlo – spiega Mondinelli -. Ma l’arrampicata è arrivata a livelli spaventosi, è un dato di fatto. Invece l’alpinismo, a parte alcune eccezioni, oggi è più modesto. Io ho fatto i 14 ottomila, ma allora aveva un senso, sono stato il secondo italiano dopo Messner. Oggi non lo so. E comunque non vedo nessuno che li fa. Italiani ce ne sono pochi, mi vengono in mente Hervè Barmasse o Simone Moro. Ma altri? Sembra che si siano lasciati andare. certo che è più bello arrampicare qui, alla sera sei a casa. Ad andare in Himalaya si perde tempo certo, ma è un’altra avventura”.

“Il punto non è che i giovani non sono bravi – chiarisce Mondinelli -. Il fatto è che l’arrampicata sta crescendo, l’himalaysmo invece sta solo andando indietro. Leggendo le cronache himalayane, a parte due o tre mosche bianche, più che alpinisti vedo gente vogliosa di finire sui giornali. Noi eravamo diversi, avevamo un altro spirito. Io andavo in himalaya perchè mi piaceva scalare, perchè volevo andare in cima. Non perchè volevo fare serate o volevo diventare famoso. Quello è venuto di conseguenza”.

Non si parla dunque di cambiare l’alpinismo, ma di uno spirito perduto, di un’autenticità che oggi si fa fatica a ritrovare nel mezzo di uno sport che da elite è diventato di massa, senza riuscire a mantenere la propria identità e i propri valori. Molti, infatti, non sanno distinguere tra chi è bravo e chi no.

“Io non ho mai avuto uffici stampa – continua Gnaro -. Adesso invece quasi viene prima quello della spedizione. E gli sponsor, non capiscono la differenza tra uno che sale con l’ossigeno una montagna piuttosto facile e uno che invece fa un alpinismo diverso, esplorativo, più di ricerca. E’ forse un problema anche di comunicazione. Forse l’alpinismo non ha saputo farsi capire dalla gente. C’è chi trova un sacco di sponsor iscrivendosi ad una commerciale. Io facevo fatica a coprire i costi della spedizione. Mi viene la malinconia quando leggo certe notizie, ad esempio di chi dice che non è riuscito ad andare in cima perchè lo sherpa lo ha abbandonato. Un alpinista se vuole ci deve saper andare comunque. Un alpinista deve volere la cima. Non la fama fine a sè stessa”.

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