Arrampicata

“Pinne Gialle” in Tognazza, Manolo: contento e sconfitto

"Pinne Gialle" - Manolo Maurizio Zanolla (Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)
“Pinne Gialle” – Manolo Maurizio Zanolla (Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)

TRANSACQUA, Trento — “C’era un’ultima cosa che era rimasta. Avevo già visto questa linea, avevo in mente il progetto, ma mi ero detto: verrò a salirla quando sarò in grado di salirla trad. Mi sarebbe piaciuto, ma quando sono tornato quest’anno ho pensato: lo lascio a qualcun altro più forte e più giovane di me. La possibilità di salirla trad in fondo c’era, però non me la sono sentita. Ma se qualcuno vuole provare a liberarla con gli stopper e i friend, io non mi arrabbio mica”. E’ il commento di Manolo, al secolo Maurizio Zanolla, a “Pinne Gialle”: 4 tiri che ha aperto pochi giorni fa sul porfido della Tognazza.

La parete della Tognazza e il suo diedro centrale, nel Gruppo del Lagorai, a una quindicina di minuti dal Passo Rolle. Maurizio Zanolla, per tutti Manolo, ha aperto negli ultimi giorni di settembre 4 tiri nuovi da lui battezzati “Pinne Gialle”, e ben documentati dalle belle fotografie scattate da Matteo Mocellin (Stroyteller-labs).

“Le foto sono concentrate su un tiro di fessura – ci ha spiegato Manolo -, che è la parte più impegnativa della via. Ma la linea in sé fa 4 lunghezze tutte piuttosto diverse fra di loro. La prima sale un diedro, uno spigolo; la seconda comincia con una pseudo-fessura, ma scali più su un muro, su una placca. Dopo di che c’è un tiro tutto di fessure, ti sposti dall’una all’altra, e l’ultima lunghezza invece sale dapprima un diedro liscio e poi fa una placca dove non ci sono appigli, solo appoggi. Il tema di fondo naturalmente è sempre il porfido, ma è una via piuttosto varia”.

I tiri nuovi si collegano ad altre vie già esistenti in Tognazza, tra cui la difficile “Border Line” aperta nel 1997 insieme a Cristian Zorzi (grado 8a+). Per Manolo infatti, si è trattato di un vecchio progetto che aspettava di essere realizzato. Il suo momento è quindi arrivato pochi giorni fa, sebbene lo stile dell’arrampicata non sia stato alla fine quello che il “Mago” aveva per diverso tempo immaginato.

"Pinne Gialle" - Manolo Maurizio Zanolla (Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)
“Pinne Gialle” – Manolo Maurizio Zanolla (Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)

“C’era un’ultima cosa che era rimasta – ha commentato -. Avevo già visto questa linea, avevo in mente il progetto, ma mi ero detto: verrò a salirla quando sarò in grado di salirla trad. Mi sarebbe piaciuto lasciarla per gli stopper e per i friend. Ma quando sono tornato quest’anno per vedere se riuscivo a realizzare questo progetto, mi sono reso conto che sebbene fosse magari anche proteggibile, c’era un tratto molto pericoloso. Quando sali, la verticalità ti porta proprio dentro al diedro, il tratto in cui sei più vicino è quello in cui è più difficile proteggersi se non con cose piccolissime, micronuts. Ho pensato: io non me la sento, lo lascio a qualcun’altro più forte e più giovane, non ho voglia di rischiare di rompermi, ne ho abbastanza di infortuni. C’èra anche la possibilità di fare anche una via di mezzo: la prima parte a friend e poi mettere due o tre spit, ma poi mi sono detto che non valeva la pena di fare una cosa a metà. O tutta a spit o tutta a friend, e ho fatto questa scelta. L’ultimo tiro poi è proprio un muro dove molto difficile proteggersi, e io ho anche poca dimestichezza con questo tipo di protezioni, non so nemmeno quanto possano tenere i micronuts, quelle cose così piccole..”.

Così una volta in cima alla parete, Manolo si è sentito “molto contento ma anche un po’ sconfitto”. “Sì – ci ha spiegato -, perché quella possibilità in fondo c’era, però non me la sono sentita. Ma se qualcuno vuole provare a liberarla con gli stopper e i friend, io non mi arrabbio mica”.

Questo il suo racconto di “Pinne Gialle” che riportiamo di seguito.

Pinne Gialle in Tognazza: il racconto di Manolo

“Sarà che va sempre peggio ma in un’estate che sembra non incominciare mai e i frassini che perdono le foglie alla fine di luglio, non m’importa nemmeno di andare in montagna. Andrea insiste che in Tognazza le dita non si usano poi molto e mi convince per una di quelle vie non molto difficili. Improvvisamente mi ritorna in mente quel vecchio progetto che corre sul bordo del grande diedro centrale. Raggiunto l’attacco cambiamo programma e tiriamo diritto per il “Gran diedro”, è la via che passa più vicina a quel progetto. E’ da parecchio tempo che non ritorno quassù ma questa scalata delicata, fatta di equilibri e di aderenza, mi diverte subito. E, il vecchio progetto che corre lì a pochi metri diventa, immediata curiosità. Il giorno dopo mi calo dall’alto e quella cicatrice che fugge nel vuoto mi sembra la madre di tutte le fessure. Purtroppo, un tratto di questa sembra non accettare nessuna protezione e quel diedro vicino è dannatamente pericoloso. Sarà che sono ormai “diversamente giovane” ma non me la sento di rischiare così tanto e il sogno “trad” diventa un sogno a spit.

"Pinne Gialle" - Manolo Maurizio Zanolla (Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)
“Pinne Gialle” – Manolo Maurizio Zanolla (Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)

“Quest’idea”, sembra infilarsi in dimensioni e geometrie completamente diverse, fra prospettive reali e immaginarie. E diventa ogni giorno più bella. Quando la provo in continuità la prima volta, con la corda dall’alto, mi riesce quasi subito. E sono molto sorpreso ma so che quando toglierò quella sicurezza l’arrampicata diventerà molto più complicata. Dovrò riuscire ad adattarmi senza irrigidirmi a quei necessari equilibri di aderenza che da semplici potranno diventare paralizzanti. E, mi convinco che scalare su questa via, a parte un paio di tratti, sia più una questione mentale che fisica, perché concede molti riposi e non intacca mai nè forza nè resistenza. E cosa ancora più bella, non fa nemmeno male alle dita.

Ho una mezza giornata e con Andrea decidiamo di provare, il tempo non è male, la via dovrebbe essere asciutta e la meteo sembra confortante. Sono molto curioso di vedere come sono messe quelle protezioni e quanto pericoloso sia volare in alcuni punti. Il porfido è tiepido e l’arrampicata oggi ci sembra più facile. Quando parto sul tiro difficile non ho nessuna ambizione e nessuna tensione, inoltre, la corda statica è lì davanti come un salvagente. La prima parte ha un passo di grande “sensibilità” ma mi abbandono completamente sui piedi e scorre via piuttosto bene ma quando riesco a superare quel passo cattivo e difficile a metà lunghezza, le cose cambiano. Quella statica che devo togliere ogni volta dai rinvii per inserire la mia, diventa un odioso impedimento, ma ormai sono in piena lotta per riuscire. Proseguo con esasperante lentezza e proteggermi diventa sempre più difficile, le caviglie cominciano a soffrire e le gambe a tremare. Non mi accorgo nemmeno delle prime gocce ma poi tutto diventa scivoloso. A questo punto avere le scarpette o le pinne è la stessa cosa e precipito insieme alla grandine. Raggiungo in qualche modo la sosta poi, una pioggia intensa e gelida ci entra ovunque.

Quindici giorni dopo Erik gentilmente si propone di farmi compagnia ed anche Matteo che non è mai stato in Tognazza ha voglia di fare qualche foto. Ci caliamo, la fessura sembra asciutta e la giornata abbastanza sicura. Purtroppo la febbre e gli antibiotici non mi hanno fatto molto bene e sono “decisamente molle”, infatti, volo già sul secondo tiro. Tutto da rifare. Riparto ma poi scivolo anche a metà del tiro difficile. Riparto di nuovo ma a pochi metri dalla fine ho i piedi completamente insensibili, mi sbilancio un attimo per guardare come sono messi, una distrazione e sono nel vuoto. Non ho voglia e nemmeno energie per ripartire e decido di provare a liberare l’ultimo. Mi riesce, e questo mi conforta per riprovare la lunghezza difficile, ma mi rendo conto di non averne proprio più. Tutti a casa.

La Guida alpina Eric Girardini, Matteo Mocellin e Manolo (Photo Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)
La Guida alpina Eric Girardini, Matteo Mocellin e Manolo (Photo Photo Matteo Mocellin/Stroyteller-labs)

Ancora una settimana di pioggia poi – improvvisamente – l’estate finisce e il secondo giorno d’autunno sembra irreale. Al Passo tira un’aria fredda e secca da nord e in cima le pozze sono ghiacciate. Ho una gran voglia di andare via ma proviamo a scendere. Sotto, fortunatamente la parete è riparata e la temperatura quasi perfetta. Sono ancora con Erik e Matteo. Ripasso tutti i movimenti, non voglio più sprecare inutili energie. Oggi mi sento meglio, quella lunghezza lunga quarantacinque metri mi fa meno paura e quando passo il boulder a metà mi sento quasi in sosta. Non c’è nulla di scontato in quei metri finali ma oggi, quell’aria secca che soffia da svuotarmi il magnesio mi aiuta e ci riesco. Sono molto contento quando arrivo in cima ma anche un po’ sconfitto, perché quel sogno “trad” per me non ci sarà mai più, ma forse mi sono salvato la vita.

Sembrava impossibile ma c’era ancora spazio. Bastava di nuovo guardare in un modo diverso per trovare, almeno per me, la via più bella della parete. I gradi? Non ne ho proprio idea e non mi arrischio nemmeno a proporli anche perché non ho molta esperienza in questo genere di scalata e lascio agli eventuali ripetitori la sentenza. Ringrazio davvero molto Andrea Giacometti che mi ha aiutato nei giorni più gelidi, Erik Girardini che è rimasto fermo nelle soste più di quanto sia riuscita a tenerlo sua madre in tutta la vita e Matteo Mocellin per le foto.

Per il tiro più difficile servono 19 rinvii.

Manolo Maurizio Zanolla

Photo Matteo Mocellin / Stroyteller-labs

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Un commento

  1. Fantastico, mostruoso. Le foto sono meravigliose. Complimenti a tutti i climber che fanno queste cose impossibili. Sia di lezione al pur saggio ma a volte saccente Messner.

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