Storia dell'alpinismo

La salita alla Sud del Lhotse di Tomo Česen. Una questione di fede?

La prima salita della parete sud del Lhotse risale al 1990. E questa è forse l’unica cosa certa che possiamo dire rispetto al primato di chi arrivò in cima al lato meridionale dell’ottomila himalayano.

Il 24 aprile il fortissimo Tomo Česen dichiarò di aver raggiunto la vetta da solo: lo sloveno non fece fotografie dal punto più alto della montagna, con i suoi 8516 metri la quarta della Terra, e ridiscese per la via di salita. Solo pochi mesi dopo il russo Vladimir Karatayev e l’ucraino Sergei Bershov tornarono in cima alla Sud e al loro rientro dichiararono che era impossibile per un uomo scalare quella parete in solitaria. Il dubbio non è mai stato dissolto.

La salita di Česen al versante Sud del Lhotse è, e probabilmente rimarrà, uno dei grandi punti interrogativi della storia dell’alpinismo. Uno di quei casi in cui si può solo scegliere di credere o non credere. Tomislav “Tomo” Česen, sloveno classe 1959, è senz’altro uno dei nomi più grandi dell’alpinismo mondiale, soprattutto dell’alpinismo dei solitari. La sua prima volta ad 8000 metri è stata al Kangchenjunga West (8505 metri) nel 1985: nella discesa il compagno Borut Bergant morì e lo sloveno passò la notte a 8400 metri, da solo, senza ossigeno e senza attrezzatura da bivacco, dimostrando così la sua straordinaria tempra. Negli anni successivi compì tante importanti salite sulle Alpi, nel 1986 aprì la celebre via (che porta il suo nome) sul versante sud del K2.

La salita di Cesen

Partì per il Lhotse a fine marzo del 1990. Lasciò il campo base il 22 aprile e compì la salita velocemente, scalando anche di notte per evitare il rischio di scariche di sassi e ghiaccio. Bivaccò da solo a 7500 e 8200 metri, arrivando in cima il 24 aprile dopo 45 ore dalla partenza e sotto fortissime raffiche di vento. “Il 24 aprile alle 2.20 del pomeriggio la solitaria al Lhotse parete sud era completata – scrisse poi Česen -. Quando chiamai Jani con il walkie-talkie al campo base, a quanto pare ho detto: ‘Jani, non posso andare più in alto di così. Sono in cima‘”. Quindi ridiscese seguendo il percorso della salita. Al suo rientro Česen pubblicò un libro su quella salita “Sam” (che significa “Solo”, da cui è tratta la citazione).

I dubbi

Česen non fece foto in vetta al Lhotse, come è successo peraltro ad altri grandi solitari, ultimo sulla linea del tempo Ueli Steck alla Sud dell’Annapurna. Raccontò però la salita e proprio alcune descrizioni del tratto finale fecero sorgere pesanti dubbi sul fatto che lo sloveno fosse realmente arrivato in cima. Non solo: il 16 ottobre dello stesso 1990 il russo Vladimir Karatayev e l’ucraino Sergei Bershov tornarono in vetta alla Sud del Lhotse documentando la loro scalata, che pertanto resta accertata. Al rientro furono loro a disseminare i primi sospetti, dichiarando che l’impresa era troppo difficile perchè Cesen potesse averla realizzata in quel modo e da solo. Non furono però sempre chiari nella propria posizione.

Un’altra ombra offuscò la salita di Tomo Česen quando la rivista francese Vertical pubblicò a suo nome alcune foto del Lhotse che appartenevano a Viki Groselj, un alpinista sloveno che le aveva scattate nel 1989, a 150 metri dalla vetta. Česen si scagionò dicendo che l’errore era stato del giornale che aveva attribuito a lui la paternità della foto, ma in un clima di dubbi e sospetti il fatto non l’aiutò.

Alcuni anni dopo altri alpinisti andarono in cima alla sud del Lhotse. Wally Berg et Scott Fischer si ritrovarono nella descrizione di Cesen e dichiararono di credere alla sua salita, sebbene affermarono che era possibile che lo sloveno si fosse fermato a pochi metri dalla vetta sotto un cono di neve. Quanto a Miss Hawley, l’autorità riconosciuta dagli alpinisti di tutto il mondo che “certifica” (se così si può dire) le salite himalayane, dapprima confermò la vetta di Česen, ma poi cambiò idea.

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