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Abruzzo: dopo gli orsi, i cinghiali

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L’AQUILA — La recente mattanza degli orsi nel Parco Nazionale d’Abruzzo ha avuto un’eco mediatica inaspettata: giornali e tg hanno dedicato alla notizia della morte di Bernardo e famiglia ampi spazi e ‘aperture’, raccogliendo le testimonianze dei paesani affranti e degli ambientalisti allarmati.

Successivamente, sono state trovate nella stessa zona anche sei carcasse di cinghiali (o cinque e una di mucca, secondo altre agenzie), ma il clamore mediatico è stato molto minore. Probabilmente non si tratta solo del consueto, rapido processo di ‘invecchiamento’ della notizia, ma anche della differente sensibilità con cui guardiamo alle varie specie animali.
 
E’ inevitabile che un animale a rischio di estinzione e/o non destinato al consumo come l’orso marsicano susciti più attenzione di un altro estremamente prolifico e che rientra nella consueta alimentazione. E’ però anche vero che questa motivazione, apparentemente molto razionale, si trasforma in un parametro "morale" che modula la nostra sensibilità animalista, finendo con l’attribuire un diverso livello di ‘sacralità’ alla vita di una o dell’altra specie.
 
E’ il solito discorso della bistecca che fa un effetto diverso della foca massacrata che insanguina i ghiacci. Le attività investigative sui delitti commessi nel Parco, che si indirizzano sul fronte dell’avvelenamento mediante sostanze tossiche, proseguono con particolare attenzione lungo il fiume Sangro.
 
 
Marco Ferrazzoli

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