Mostre e convegni

Piramide dell’Everest: tecnologia e natura negli scatti di De Santis

Un passo dopo l'altro Yak della spedizione sotto al monte Nuptse nella valle del Khumbu (Enrico De Santis)
Un passo dopo l’altro Yak della spedizione sotto al monte Nuptse nella valle del Khumbu (Enrico De Santis)

ROMA — Un viaggio di tre settimane lungo la valle del Khumbu in Nepal da Katmandu alla Piramide ai piedi dell’Everest. Enrico De Santis è l’autore della mostra Top Recycling Mission che è stata allestita presso le scuderie di Palazzo Ruspoli a Roma, nel mese di dicembre 2013. Venticinque fotografie che raccontano della missione Top Recylicng Mission organizzata da Cobat in collaborazione con EvK2Cnr il cui scopo era sostituire i pannelli fotovoltaici e le batterie che alimentano il Laboratorio Osservatorio Piramide.

Il lavoro di De Santis è un lavoro di foto giornalismo, in primis il racconto di una missione e delle persone che vi anno partecipato. Un lavoro che riesce a restituire l’inconsueta ed evidente armonia tra la bellezza austera del cielo e delle montagne Himalayane, la scienza e la tecnica rappresentate dalla Piramide Laboratorio e i templi, i volti e la spiritualità di cui sono pervase le montagne nepalesi e la stessa Katmandu. De Santis, giornalista fotoreporter e componente dell’associazione nazionale fotografi professionisti, collabora con grandi agenzie giornalistiche italiane internazionali tra cui l’Ansa e con il  Corriere della Sera.

Il Laboratorio Osservatorio Piramide si trova a 5050 metri. È stato difficile fotografare in alta quota?
Come in tutti gli ambienti ci sono pro e contro. Fondamentale è studiare la situazione prima, ma questa volta io non ho avuto molto tempo venendo da una serie di viaggi con solo 4 giorni a Milano prima del volo per Kathmandu. Naturalmente tra i contro ci sono la fatica, che dai 4000 ho cominciato a sentire, e il freddo che ho sentito sopratutto la notte. Ma la luce, che arrivava pulita e tersa, e gli scenari che ho incontrato erano così entusiasmanti da farmi scordare il peso che rallentava le mie gambe. Ho fotografato per due notti di seguito a 5050 mt alla Piramide. Il freddo pungente non permetteva di tenere le mani scoperte per più di qualche secondo, ma anche in questa situazione vedere i risultati di ciò che producevo dava un adrenalina sufficiente a scaldarmi ora dopo ora.  In conclusione la fatica di giorno ed il freddo di notte sono stati avversari troppo deboli rispetto all’entusiasmo provato sul tetto del mondo.

Che tipo di obiettivi hai utilizzato?
È la principale questione del fotografo viaggiatore: il compromesso tra attrezzature e leggerezza. Io propendo per la leggerezza, anche se le valutazioni sono soggettive, qualcuno avrebbe potuto scegliere di portare solo una compatta con il rischio di non riportare il lavoro a casa (le compatte non hanno corpi resistenti a tutte le temperature) o al massimo di riportare foto bellissime ma non stampabili in tipografia o in grande formato. Io sono partito con una vaglia antiurto stagna e galleggiante con valvola di compensazione pressione. Dove dentro ho messo una Nikon D4 e quattro obiettivi: un macro, uno zoom fino a 300 e poi due gioielli NIkon il 50 f/1.4 (un obiettivo con angolo simile a quello che ha l’occhio umano ma estremamente luminoso)  e il 14/24, il principe dei grandangoli zoom. Avevo con me anche una seconda macchina, della Fuji, grande come una compatta con sensore APS-C. Naturalmente a certe temperature è obbligatoria l’attrezzatura tropicalizzata. A corredo un cavalletto molto leggero e resistente, filtri per gli obiettivi in caso di luce troppo intensa, batterie di riserva tenevo avvolte nella lana a contatto con mio corpo. Importante da precisare: non mi portavo la valigia sulle spalle,  di giorno avevo uno zainetto e obiettivi in alcune tasche e tornavo in possesso della valigia soltanto di sera.

Che tipo di lavoro fai in post produzione?
Dipende dal tipo di utilizzo. Nel caso di Giornali  è la selezione a essere fondamentale, per raccontare una storia che susciti più domande che risposte. Nel caso di stampa per mostre, il bilanciamento colore e luci devono essere equilibrati e in funzione del tipo di carta ed effetto scelto. Nel caso del web bisogna almeno ridurre il peso. Pur riconoscendo che la postproduzione è un passo obbligato mi piace scattare bene e magari di più, ma stare il meno possibile davanti al computer. Nel caso di questa mostra la selezione è stata lunga, ma non avendo scattato in file raw (raramente lo faccio per le foto di reportage) il lavoro di postproduzione si è limitato a qualche taglio ed un po’ di bilanciamento colore.

Che tecniche hai utilizzato per le tue foto in notturna?
Semplicemente il treppiede e obiettivi luminosi con tempi lunghi.  Se si osserva la foto intitolata “cercando ciò che le stelle fanno al cielo” si vede che le stelle non sono dei punti ma dei trattini.  Ciò è dovuto alla rotazione della volta celeste,  in quanto l’obiettivo è rimasto aperto per un quasi un minuto in manuale.  Faceva molto freddo, e tirava un vento fortissimo a raffiche, dovevo scattare tra una raffica e l’altra e molti scatti non riuscivano perché il vento arrivava a far tremare il treppiede. Per avere “cercando ciò che le stelle fanno al cielo” ci sono volute due notti di scatti. Due notti bellissime!

Raccontaci un po’ dei tuoi processi creativi. Quando hai visto il Laboratorio Osservatorio Piramide, un oggetto tecnologico e scientifico nel cuore delle montagne, che pensieri hai fatto, che variabili hai percepito, che cosa hai voluto catturare?
Quando ho visto la punta della piramide comparire all’improvviso, alla fine di un sentiero stretto, ho avuto una bella sensazione di contrasto temporale, sembrava qualcosa che appartenesse al futuro, ma quasi nello stesso momento ho pensato anche alla spada nella roccia. Medio Evo e futuro… Quando tutta la Piramide mi è apparsa, la sensazione ha divaricato la sua portata, dagli egizi al futuro.  Il concetto di contrasto ha accompagnato molte altre riflessioni: alta tecnologia e natura estrema,  opposti che qui trovano una sintesi.  Ho voluto raccontare due viaggi, rappresentare due anime dell’uomo, spesso ritenute opposte: scienza e spiritualità.  Il viaggio spirituale parte dai templi induisti di Kathmandu, passa per i monasteri buddisti delle montagne fino a toccare i piedi alle Dee delle vette. Il viaggio tecnologico ed ecologico racconta la sostituzione dei pannelli solari di Cobat per dare nuova energia al Laboratorio. All’interno degli stessi viaggi ho trovato nuove opposizioni. Così nel viaggio spirituale troviamo i colorati e appariscenti induisti in contrasto con la riservatezza dei monaci buddisti e il diverso modo di queste due religioni di relazionarsi con gli animali.  Mentre all’interno del viaggio scientifico verso l’ipermoderno laboratorio d’alta tecnologia ritraggo antichi modi di trasporto come yak e sherpa. La composizione di tutti questi opposti è ben simboleggiata dalla forma stessa della montagna, le cui linee si congiungono in cima ma che alla base è formata da molti elementi diversi senza cui neppure esisterebbe. Con questo mio lavoro ho provato a fare la stessa cosa.

Qui la gallery le fotografie che hanno composto la mostra di Palazzo Ruspoli. Questo lavoro e diversi altri sono visibili online sul sito del fotografo.

 

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