Montagna.TV

Aria inquinata in montagna come in città? O ci si salva tutti o non si salva nessuno

Nube di inquinanti verso la Piramide dell'Everest rilevata nel 2009
Nube di inquinanti verso la Piramide dell’Everest rilevata nel 2009

LECCO – In gergo tecnico si chiamano aerosol, sui giornali invece sentiamo parlare spesso di PM10 o PM2,5. Di fatto si tratta di particelle di particolato che inquinano l’aria che respiriamo, provocando gravi conseguenze per la salute umana, per il clima, i ghiacciai ed ecosistemi unici al mondo. Sono di origine naturale o antropica, e non importa in quale luogo vengano emesse perché l’inquinamento non ha confini e quello che immettiamo nell’atmosfera nelle città raggiunge poi anche posti incontaminati come le alte quote delle montagne. Il nostro comportamento influisce sul clima anche a distanza, per questo la questione dell’inquinamento è globale: o ci si salva tutti o non si salva nessuno.

L’inquinamento atmosferico è una delle grandi tematiche trattate oggi dagli scienziati riuniti ad High Summit, la Conferenza internazionale apertasi a Lecco. Le polveri sottili infatti, sono il vero fulcro della questione, dal momento che incidono sul clima in modo globale e trasversale.

Per prima cosa diciamo che quando si parla di polveri sottili ci si riferisce a particelle che possono essere in forma solida o liquida, originate dalla natura o dall’uomo. Lo spray marino, le ceneri dei vulcani, la sabbia dei deserti sono particelle che si creano spontaneamente in natura: vengono trasportate dai venti e le troviamo depositate sui parabrezza delle auto in città, e persino in montagna, sulle Alpi come in Himalaya, dove danno una colorazione scura, bruna o rossa alla neve e ai ghiacci. Il particolato generato dalle attività umane invece, deriva dal traffico urbano o non urbano, dai processi industriali e dal riscaldamento. Oppure dalla combustione di biomasse come accade in particolare nei paesi in via di sviluppo, dove riscaldamento e cucina si basano sul calore emanato dalla legna da ardere: le particelle carboniose, immesse prima che nell’aria nelle stanze in cui le persone cucinano o riscaldano il loro habitat, magari da bracieri aperti, senza camini, producono danni alla salute umana molto gravi, tra cui la Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva e altre malattie cardiovascolari.

“Dobbiamo renderci conto che l’inquinamento non ha limiti o frontiere – spiega Paolo Bonasoni, ricercatore dell’Isac-Cnr di Bologna e del Comitato EvK2Cnr -, non ha ticket da pagare, sia da un punto di vista latitudine-longitudine, sia per la quota. Quindi quando ci sono situazioni di grande inquinamento in aree urbane o rurali a basse quote succede che, se si creano condizioni favorevoli (con il riscaldamento delle pendici delle montagne, quindi con la brezza di valle o di monte), le valli diventano dei canali dove questo inquinamento, non prodotto certo in alta quota, raggiunge le vette, i ghiacciai e habitat naturali normalmente incontaminati”.

Il primo passo per invertire la rotta o cercare di limitare i danni è essere consapevoli dello stato attuale delle cose: vale a dire monitorare l’atmosfera in diverse zone del nostro pianeta, in primis le montagne che sono punto di osservazione privilegiato per condurre studi di questo tipo. A tale scopo è nato il progetto Share, una rete di stazioni meteo che forniscono dati fondamentali per capire l’andamento climatico e fornire ai governi e alle istituzioni dati utili a prendere provvedimenti concreti.

Exit mobile version