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Soccorso al Broad Peak, raggiunto l’alpinista svedese

Broad Peak dal Concordia (Photo Kogo)
Broad Peak dal Concordia (Photo Kogo)

UPDATED – SKARDU, Pakistan — E’ stato raggiunto l’alpinista svedese che si è sentito male questa mattina a 7000 metri di quota del Broad Peak. Ai campi alti della montagna sono saliti in suo aiuto i compagni di spedizione, mentre gli uomini del Rescue Team del Circo Concordia hanno portato al loro campo base bombole d’ossigeno, medicinali e camera iperbarica.

L’alpinista svedese sarebbe tutto sommato in buone condizioni: presenterebbe infatti congelamenti alle dita, ma, grazie all’aiuto dei membri della sua spedizione, starebbe procedendo lentamente e sulle sue gambe verso il campo base. Gli uomini del Rescue team di Concordia sono stati diverse ore al campo base, portando l’occorrente per il primo intervento. Poi, d’accordo con il coordinatore del Tour Operator, sono rientrati a Concordia.

Le informazioni arrivano da Maurizio Gallo responsabile delle attività in Pakistan del Comitato EvK2Cnr, in diretto contatto con i collaboratori pakistani del Comitato, promotore dello stesso Rescue Team del Circo Concordia. L’allarme era scattato questa mattina quando alla postazione di primo soccorso è arrivata la richiesta di aiuto al Broad Peak. Due soccorritori sono quindi andati al campo base della montagna per unirsi ai membri della spedizione di cui fa parte lo svedese nel tentativo di prestargli soccorso.

“I nostri uomini stanno portando medicinali contro l’edema, altre bombole di ossigeno e un cassone iperbarico – spiegava questa mattina Gallo -, che è un specie di tubo di circa 2 metri in cui è possibile far entrare una persona e portarla a una pressione più bassa, come fosse a quote più basse. E’ di grande aiuto, per certi versi più dell’ossigeno, perché dopo diverse ore i benefici sono notevoli. I soccorritori chiederanno agli altri alpinisti al campo base del Broad Peak di aiutarli nel portare la camera iperbarica in quota, il più in alto possibile”.

Quello di oggi è l’incidente più alto per il quale sono stati chiamati i soccorritori del Rescue Team, e la quota in queste situazioni non è certo un dettaglio dal momento che non è possibile raggiungere certe altezze senza un adeguato acclimatamento. “Questo è un aspetto che l’anno prossimo dovremo cercare di migliorare – continua Gallo -, tenendo magari gruppi di 2 o 3 persone acclimatate, in modo tale che possano andare personalmente a fare soccorso anche a 7000 o 7500 metri”.

Anche perché non sempre si può contare sull’aiuto dei compagni di spedizione, soprattutto in team formati in genere da persone che non sono legate fra loro da legami di amicizia.

“E’ uno dei rischi più comuni che si possono correre in questo tipo di spedizioni – conclude Gallo -, che io definirei ‘spedizioni aggregate’, perché costituite da gente che si vede per la prima volta al campo base e che compra dai tour operator, di fatto, dei posti tenda. In Karakorum è un tipo di alpinismo più diffuso delle commerciali, e forse anche più pericoloso. Le persone non si conoscono e quindi non si consultano, non hanno una guida, se non sono esperti prendono decisioni avventate senza che nessuno li consigli o li fermi. E in caso di incidente o necessità, può succedere che nessuno delle persone con cui condividono il permesso si prenda il disturbo di salire a salvarli. Così era stato per esempio nel 2010, quando era morto un alpinista bulgaro al K2 e una iraniana al Broad Peak”.

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