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A tu per tu con Patricija Verdev: “le spedizioni al femminile sono tutta un’altra cosa”

La salita di Patricija Verdev e Anja Petek all’inviolato Lalung I, nell’Himalaya indiano, ha ottenuto la menzione speciale per l’alpinismo femminile ai Piolets d’Or. Un riconoscimento prestigioso ma spesso frainteso

«Ora che ho l’occasione di guardarmi un pochino indietro, mi rendo conto che la nostra spedizione è stata una sorta di macedonia: vi abbiamo inserito tanti ingredienti differenti ed era già buonissima così, ma il Piolet d’Or è stata la ciliegina sulla torta». Patricija Verdev riassume in questo modo il vortice di emozioni che l’ha travolta dopo il prestigioso riconoscimento che la spedizione sua e di Anja Petek al Lalung I – vetta inviolata di 6.243 metri nell’Himalaya indiano – si è guadagnata agli scorsi Piolets d’Or, ospitati a San Martino di Castrozza. Una menzione speciale per l’alpinismo femminile che vuole promuovere l’intraprendenza alpinistica delle donne, spesso posta in secondo piano rispetto agli exploit maschili. Un tema forse antico quanto il mondo, ma che non smette di sollevare interrogativi. Se a raggiungere il Lalung I fossero stati degli uomini, per esempio, avrebbero comunque vinto un Piolet d’Or?

«Siamo donne e abbiamo tre mesi di mestruazioni all’anno che ci impediscono di essere performative nello stesso identico modo in cui lo sono gli uomini», risponde secca  Patricija Verdev. «È un dato di fatto ed evitare di parlarne suona un po’ ipocrita. Eppure nel mondo dell’alpinismo questo fa la differenza. Ed è esattamente questo che rende una menzione speciale all’alpinismo femminile qualcosa di giusto, corretto e in definitiva necessario. Sarebbe bello avere un solo premio che riesca a comprendere davvero spedizioni al maschile e al femminile, senza distinzioni di sorta, ma è decisamente arduo. Le donne riescono a raggiungere obiettivi prestigiosi in alpinismo, magari con qualche anno di ritardo rispetto ai colleghi maschi, ma ci riescono. Riconoscere il fatto che vi siano delle diversità non inficia questo, non è invalidante nei confronti dell’alpinismo femminile. Piuttosto ne riconosce gli sforzi, ne premia le fatiche».

La vostra spedizione era totalmente al femminile: oltre ad Anja e te, vi erano Urša Kešar e Ana Baumgartner, che hanno poi portato avanti un obiettivo parallelo e diverso rispetto al Lalung I.

«Sì, diciamo che una spedizione al femminile ci risultava più interessante e sostenibile, anche in forza delle diverse dinamiche che si sviluppano all’interno di un team e che sono decisamente differenti quando vi sono coinvolti anche degli uomini. Se nel gruppo ci sono un uomo o due, sono loro a diventare automaticamente dei leader e tendono ad assumere in prima battuta tutte le decisioni del caso. Sembra un luogo comune ma la tendenza è questa. Con Anja, Urša e Ana cooperavamo alla pari e anche le conversazioni che abbiamo avuto durante l’intera spedizione sono state decisamente più aperte e sincere. E mentre io e Anja eravamo impegnate sul Lalung I, Urša e Ana hanno scalato due nuove vie su una vicina parete di granito.

Oltre che combattuto con gli orsi al campo base.
«Sì, quella è stata la parte più surreale e divertente. Mentre io e Anja eravamo in parete, il campo è stato preda di visite notturne da parte di alcuni plantigradi, che hanno strappato o distrutto le tende e rubato gran parte del cibo. Nonostante la fatica, la meteo avversa e le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, di fatto eravamo più al sicuro sulla montagna».

Nonostante le intemperie e le acrobatiche discese in corda doppia.
«Diciamo che le peripezie non sono mancate. Siamo salite lungo l’affilata e difficile cresta est nell’arco di cinque giorni, passandone uno e mezzo chiuse all’interno della tenda a causa del brutto tempo. Durante l’ultimo bivacco, poco sotto la cima, abbiamo anche perso i pali della tenda a causa del vento e siamo state costrette a trascorrere la notte solo nei sacchi a pelo. Nonostante la foschia del mattino dopo, siamo riuscire comunque a raggiungere la vetta, procedendo poi nella discesa lungo la cresta ovest, con cinque calate in doppia sulla parete nord. Ma è questo genere di avventure che ci fa sentire realizzate. Non avevamo aspettative abnormi nei confronti del Lalung I, se non il desiderio di scalarlo. Ma sempre vivendo un giorno per volta, senza pressioni».

Anche perché per te si trattava della prima spedizione himalayana.
«Sì, anche se ho iniziato ad approcciarmi al mondo della montagna nel 2017, arrampicando e cominciando a viaggiare, spesso da sola, con il solo scopo di esplorare aree remote, soprattutto in Asia. La prima volta fu nel 2018, in India. Questa spedizione al Lalung I è invece iniziata con Anja, che mi ha chiamata nel mese di febbraio 2024. La sua domanda era molto semplice: “vuoi venire in spedizione con me?”. E la mia risposta è stata subito affermativa. Attendevo un’opportunità come questa da tempo, ma avevo un po’ lasciato da parte il sogno perché è difficile trovare un buon compagno, qualcuno con cui funzionare bene in situazioni diverse».

Ed ora, che cosa ti aspetta?
«Dal 2017, da quando ho scoperto la montagna, ho messo da parte la mia famiglia e la mia vita più personale perché troppo concentrata sull’alpinismo e sul lavorare abbastanza per potermi permettere di praticarlo. Nel 2025 ho compiuto trent’anni e, nonostante la vita raminga che ho condotto finora sia spesso appannaggio di persone fin oltre i cinquanta, sento che è arrivato il tempo di costruire qualcosa di concreto. Sono arrivata al punto di desiderare davvero una famiglia tutta mia, da costruire con il mio fidanzato, ma senza dimenticare l’arrampicata. Credo che avrò bisogno di circa un paio di anni, che mi serviranno anche per completare il corso da guida alpina appena cominciato: voglio seriamente cambiare lavoro. Sai, finora ho sempre fatto la cameriera, per oltre quindici anni, e sento che riuscire a fare della montagna la mia professione può rendermi più appagata, anche nella mia sfera personale. Ma fra qualche anno so già che vorrò tornare in Himalaya e in Nepal: ci sono ancora moltissime montagne che mi attendono».

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