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Alla ricerca del ghiaccio perduto

Il cambiamento climatico ha accorciato la stagione dell’ice climbing e molte cascate classiche sono scomparse o impraticabili. Per divertirsi i “ghiaccisti” devono salire di quota. E sperare nel gelo

Risveglio grigio sulle Alpi. Nubi sfilacciate avvolgono i versanti, a mille metri di quota ci sono sette gradi e pioviggina ben oltre i duemila. Nei prati spunta erba fresca, verde come nelle marcite delle antiche campagne acquitrinose della pianura a sud di Milano: quei campi tenuti in vita d’inverno da un velo d’acqua a temperatura costante, attorno ai dieci gradi, alimentato dai fontanili. Un trucco idraulico che impediva al gelo di prendersi la terra e consentiva all’erba di crescere anche quando l’inverno, altrove, fermava tutto.

Ne giova il muschio da presepe, aggrappato alle rocce e brillante come non mai. Meno felici, invece, gli appassionati di sport sulla neve e, restando tra le pratiche alpinistiche della stagione fredda, gli scalatori del ghiaccio.

La scalata su ghiaccio sembra aver conosciuto un interesse crescente proprio negli anni in cui le temperature aumentavano. Più praticanti, più caldo. Una strana proporzione.

Prima del nuovo millennio le valli erano ancora solcate da flussi gelati che, all’ombra, resistevano per l’intero inverno fino all’orizzonte delle latifoglie. I praticanti, seguaci dei primi fuoriclasse – Grassi, Lowe, Damilano… – erano relativamente pochi. Poi l’esplosione, complice l’evoluzione tecnologica degli attrezzi, che ha reso la progressione più libera e veloce e la protezione più efficace.

Da quel momento, però, molte cascate esposte al sole fino alla media quota sono praticamente scomparse. A seguire, anche tante salite “classiche”, persino all’ombra, che un tempo scendevano più in basso. Il cascatista si è così trasformato in un inseguitore di cristalli, costretto a salire sempre più in alto, disposto ogni volta a percorrere centinaia di chilometri in auto alla rincorsa di un freddo che non c’è più.

Intorno, una comunità iperattiva condivide informazioni in tempo reale: il momento giusto, la candela formata, la traccia battuta. Una corsa contro il tempo per anticipare una fusione sempre in agguato. Come accade per fauna e flora, obbligate a migrazioni forzate, anche i cambiamenti climatici spingono gli ice climbers verso quote maggiori e all’inseguimento di rigurgiti di gelo in perenne movimento lungo l’arco alpino.

Eppure è difficile non riconoscere la bellezza di questa passione per la scalata effimera, una delle esperienze più intense che la montagna possa offrire. Perché, va ricordato, scalare sul ghiaccio è un’appassionata superfluità. Ma è anche un luogo speciale in cui mettere alla prova – con giudizio, senza abbandonarsi al caso – le proprie capacità.

È un terreno dove a ogni passo occorre capire come si fa ciò che si sta facendo e cosa si pensa mentre lo si fa. Dove il risultato inatteso è dedicare tempo vivo all’ascolto, del ghiaccio sotto i colpi delle picche e dei processi del proprio pensiero.

Ma con inverni come questo, con queste condizioni sempre più frequenti, ha ancora senso tutto ciò?

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