
C’è una foto che è entrata nella storia dell’alpinismo britannico. È datata aprile 1908 e ritrae due donne, con tanto di cappello, scarpe da città e gonnelloni, che affrontano una parete ripida, munite solo di una corda. Si chiamavano Lucy Smith e Pauline Ranken. Il luogo è Salisbury Crags, un costone roccioso che si erge sopra la città di Edimburgo. La scalata è di soli 151 metri, ma è una vera sfida: basalto e dolerite rendono ardua l’ascesa. Oltre cent’anni fa, Smith e Ranken lo scalarono in condizioni proibitive, perché mentre salivano una pioggia fitta si accanì su di loro. Nonostante non avessero alcuna protezione – caschetto, imbragature – e malgrado l’abbigliamento poco adatto, le due donne riuscirono a completare il percorso senza incidenti. Guardate con sufficienza se non sbeffeggiate dai colleghi dello Scottish Mountaineering Club (Smc), Lucy e Pauline riuscirono persino ad aprire una nuova via.
Non erano sole, Lucy e Pauline. In una Gran Bretagna che nell’Ottocento pullulava di scalatori che frequentavano le Alpi, vista l’assenza di cime interessanti a portata di mano, gli scozzesi erano gli unici a poter vantare qualcosa di simile a una montagna nelle Highlands. Certo, erano cime intorno ai 1000 metri, niente di comparabile alle Alpi. Ma per chi viveva nella regione sono state, e sono tuttora, una palestra significativa.
Dal 1889 esisteva lo Scottish Mountaineering Club, una confraternita esclusivamente maschile di appassionati di alpinismo. La mentalità vittoriana considerava le donne non solo meno intelligenti, ma anche meno capaci di fronte alle sfide sportive. Creature paurose che stavano bene fra le mura di casa, con i bambini. Senza ammetterle nel loro club, alcuni alpinisti scozzesi iniziarono però a portare mogli e figlie desiderose di mettersi alla prova. Accompagnate da un uomo di famiglia, non destavano scandalo: da sole o, peggio ancora con una guida, cioè con un estraneo, non era ammissibile. Lucy e Pauline quel giorno del 1908 non erano delle esordienti ma scalatrici provette, che avevano appreso la tecnica con mariti, genitori, fratelli. E ora, ambivano a essere considerate delle alpiniste al pari dei maschi.
Respinte dai maschi, fondano il Ladies Scottish Climbing Club
Quando insieme a un’altra alpinista scozzese, Jane Inglis Clark nata Shannon (1860-1950), chiedono di essere riconosciute dall’Smc, trovano le porte chiuse. E la cosa più ridicola è che a respingerle sono il presidente, nonché padre di Lucy Smith, e il segretario William Inglis Clark, marito di Jane, che a sua volta diverrà presidente del club dal 1914 al 1919. Entrambi conoscevano benissimo le capacità delle donne della loro famiglia. Eppure, prevale la mentalità maschilista dell’epoca.
Le scozzesi non si scoraggiano. Jane Inglis Clark insieme a sua figlia Mabel e a Lucy Smith fondano in quello stesso anno, il 1908, il Ladies Scottish Climbing Club (Lscc), ispirandosi al Ladies Alpine Club, creato a Londra l’anno precedente. Ma se quest’ultimo in seguito sarà assorbito nell’Alpine Club of Great Britain, il club femminile scozzese esiste ancora oggi. Nel 2008 ha festeggiato il suo centenario e resta il circolo per sole donne alpiniste più antico ancora attivo del Paese. Quanto all’abbigliamento, il gonnellone iniziale poco alla volta viene abbandonato in favore dei pantaloni alla zuava, che le donne scalatrici iniziano a indossare quando non sono viste da sguardi maschili.
Le fondatrici si pongono l’obiettivo “di riunire le signore amanti dell’alpinismo e incoraggiare l’alpinismo in Scozia, sia estivo, sia invernale”. La prima presidente è Jane Inglis Clark, segretaria è sua figlia Mabel e tesoriera Lucy Smith. Anche Jane era una scalatrice esperta. Aveva preso parte a sei ascese sul Ben Nevis (1345 m) tra il 1897 e il 1904. Aveva scalato anche il piramidale Buachaille Etive Mor (1021 m), seguendo la via Abraham’s Route a Crawberry Ridge, aperta da George e Ashley Abraham con altri due nel 1900, ritenuto all’epoca uno dei percorsi di roccia più difficili.
Alcune delle alpiniste del Lscc erano all’epoca suffragette. La loro lotta per il voto femminile ben si sposava con la passione per le scalate, ritenute una strada per l’emancipazione delle donne e per il rafforzamento della loro posizione sociale. Queste pioniere scozzesi dell’alpinismo non sono interessate a reclutare donne qualsiasi: aspirano ad avere fra le loro fila la crème locale di questo sport. Al club sono ammesse solo le scalatrici che hanno conquistato almeno quattro vette da 3000 piedi (914,4 metri), due sulla neve e due sulla roccia. Oggi che per salire sull’Everest a volte c’è la coda queste basse montagne scozzesi possono far sorridere. Non dimentichiamo, però, che erano i monti del territorio e che non tutti gli alpinisti di allora potevano concedersi costosi viaggi sulle Alpi e altrove. Per le donne, era doppiamente difficile. Quindi, il filtro posto dalla Lscc aveva senso, all’epoca. Nel giro di un anno, il Ladies Scottish Climbing Club conta già 14 socie.
«Non esiste uno sport come l’alpinismo», scrive Jane Inglis Clark nel suo libro Pictures and Memories (1938). «È il superamento delle difficoltà, l’ascesa mentale e fisica, che infonde entusiasmo. I guai della vita scompaiono in presenza delle cime eterne. Arriviamo stanchi nella mente e nel corpo, ritorniamo rinfrancati e rinnovati. La salute è ristabilita e l’amicizia ne esce rafforzata». È il sunto dei piaceri e dei benefici che questa donna trovava nell’affrontare la sfida con la montagna. Nel corso del Novecento, seguendo le sue orme, le scalatrici scozzesi hanno girato il mondo: dalle Alpi al Caucaso, dall’Himalaya alla Groenlandia. Una di loro ha scalato tutte le 282 cime scozzesi delle Highlands che superano i 3000 piedi. Il seme piantato dalle fondatrici è cresciuto rigoglioso. Nel 2008, anno del centenario del Lscc, il club vantava 120 iscritte.