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Khumbu, via nuova per 3 italiani

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"Arrivati al villaggio di Lungden, 4200 metri, siamo rimasti bloccati 2 giorni a causa di una tempesta di neve… Cosa fare? Ci si annoia (con Nik mai…) e ci si guarda intorno. La neve fresca accentua le linee bianche che disegnano la roccia e allora si comincia a sognare… Due giorni dopo ecco che si parte per un obiettivo completamente diverso da quello preposto, la parete Nord dell Hama Yomjuma: 1100 metri! Francesco non ha mai affrontato una parete così, io e Nik sì, ma formiamo una bella squadra". Ecco il racconto della via nuova sull’Hama Yomjuma, cima di 5.970 metri nel cuore della valle del Khumbu, aperta da Francesco Cantù con due guide Valdostane, Enrico Bonino e Nicolas Meli.

Quello che abbiamo visto i giorni precedenti con il binocolo si rivela essere più duro del previsto: pensavamo di attaccare lo "zoccolo" della via a mezzogiorno con il sole e bivaccare subito sopra alla base del nevaio impegnandoci in 1-2 tiri di corda e un po’ di conserva facile. Beh, decisamente non e’ stato così… Ci siamo trovati ad affrontare difficoltà di misto moderno fino all’M6 con zaini pesantissimi, in quanto avevamo tutto il materiale per dormire due notti.

Dopo 5 ore di scalata tecnica e delicata arriviamo finalmente in cima alla barriera di rocce dove ci organizziamo per la notte in un bivacco super-comfort. Guardiamo verso valle le luci del lodge e ci sentiamo vicini a "casa" in una notte gelida. Il mattino successivo la sveglia non suona e per puro caso tutti in quel momento stavamo sonnecchiando… Ma abbiamo perso poco tempo e ci siamo subito messi in marcia appena il russare dell’uno ha svegliato gli altri.

Il pendio di neve e’ tagliato da una corta sezione di misto che ci permette di scoldare i motori delle braccia per la parte superiore: bella, estetica e dura! Francesco, terminato il pendio, attacca la goulotte superiore che si mostra rettilinea e logica e sempre piu ripida. Io prendo il comando econ due tiri sostenuti di neve incollata alla roccia esco dalla prima parte ripida della parete, potendo così ammirare cosa ci aspetta per il resto della giornata.

Quello che dal basso sembrava un canale appoggiato da percorrere in conserva si e’ dimostrato una serie di risalti di fine ghiaccio su placca di roccia liscia. Nik, calmo e riflessivo si destreggia cercando la stada migliore e ci conduce alla strettoia finale.

Viene buio. In tre su queste difficoltà, a 5600 metri e con il forte peso degli zaini non riusciamo a progredire velocemente. Io percorro un ultimo strapiombo di roccia e ghiaccio e un corto ma ripido pendio di neve e raggiungo la base dell’ultmo tiro della goulotte. Si decide per il bivacco (previsto)… Sì, ma dove? La parete e’ un continuo indovinello, ogni volta che ci immaginiamo una piazzola o un abbassamento della pendenza continuiamo a trovare tratti ripidi ed insidiosi.

A volte bisogna fare di necessità virtù: fatta la sosta cominciamo a scavare una mini piazzola nel ghiaccio, giusto per appoggiare il sedere. Tempo che ci organizziamo per la cena e per la notte, ed è notte fonda. Guardiamo l’orologio e ci consoliamo pensando che così abbiamo meno ore da passare scomodi e "seduti". Subito e’ difficile prendere sonno, la notte stellata e’ meravigliosa. Le stelle brillano ed illuminano le montagne. Ogni tanto l’occhio cade verso la voragine sotto di noi e subito li rialziamo un po’ spaventati!

La mattina ci mettiamo in marcia alle 4 ma la scomodità del bivacco ci obbliga a prenderele piccozze in mano solo dopo 3 ore. Alle 7 parto per il tiro chiave. La sera prima mi ero detto : "quasi quasi lo attacco con il buio e ci togliamo il pensiero". Alla fine del tiro sembra esserci una cengia piatta che ci avrebbe concesso un bivacco piu confortevole. Mi sono presto reso conto che ho fatto bene ad aspettare la mattina.

Dopo alcuni metri ghiaccio delicato, la parete si trasforma in uno stretto diedro roccioso che mi impegna per un’ora. Siamo ormai a 5800 metri e ogni sforzo e’ un’impresa. Verso la cima del tiro, cercando di piazzare una protezione veloce sotto uno strapiombo, la piccozza perde la presa e salto di sotto qualche metro. Nulla di grave, un voletto se non fa male da’ la sveglia, e dopo un bivacco in parete e’ capitato al momento giusto.

Esco dal tiro esultando come un bambino, sono il tiro e la via più duri che abbia salito nella mia breve vita, ed in apertura e’ ancora una soddisfazione piu grande. Come sempre abbiamo fatto nei tiri più duri, il primo arrampicava scarico e poi tirava su il sacco. Nik dalla sosta sotto mi grida di recuperare la gialla. Dopo alcuni minuti lo vedo arrivare in sosta, sì Nik, non il sacco… ?!

"Enrico – mi dice con la sua solita calma – è successo un casino, il tuo sacco… è precipitato al fondo della parete". Io non so come ho fatto, ma non ho battuto ciglio. Forse perchè eravamo a 100 metri dalla cima ed il terreno terrazzoso ci mostrava la vetta vicina.

Recuperiamo Francesco, forse l’autore della distrazione, e discutiamo sul da farsi. Di certo non stiamo a perderci in litigi o discussioni, ma ci attiviamo unitamente per la scelta migliore. Fatto il conto del materiale ci rendiamo conto che dentro il mio sacco c’erano sacco a pelo, piumino, pantaloni e alcuni chiodi.

La vetta era vicina, ma la discesa sul versante opposto sarebbe stata eterna. Decidiamo allora di non rischiare un altro bivacco senza materiale e di scendere in doppia. Più scendiamo e più ritroviamo pezzi sparsi in parete tra cui il parmigiano perso il giorno prima. Alla base della parete, dopo 1100 metri di "toboga", il mio sacco a pelo si mostra intatto.

Non ci resta che guardare verso l’alto e goderci gli ultimi raggi di sole, sognando un Dhal Bat e dei Mixed Chowmein…

 Enrico Bonino

Foto courtesy http://enricobonino.blogspot.com/

 

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