Gente di montagna

A tu per tu con Carlos Soria: “sono felice, ma quanta stanchezza!”

Due settimane dopo la storica ascensione del Manaslu a 86 anni, abbiamo parlato con l’alpinista spagnolo. Gioia per la salita e per l’accoglienza al ritorno in patria, qualche acciacco fisico, suggerimenti per chi va in montagna a un’età avanzata

L’Himalaya è la terra dei record, ma non tutti i record himalayani sono uguali. Per capirlo basta guardare con attenzione una delle foto che Luis Miguel López Soriano ha scattato all’alba dello scorso 26 settembre sugli 8163 metri del Manaslu. Nell’inquadratura si vedono tre Sherpa, Mikel, Nima e Phurba, nelle classiche pose festose di vetta.

In primo piano, invece, appare un uomo avvolto in una tuta rosso fuoco, con il volto nascosto da una maschera per l’ossigeno. La posizione inclinata fa capire quanto stia pesando su di lui la stanchezza. Ma negli occhi si vede una luce speciale, un impasto di sofferenza e di grinta.

L’uomo si chiama Carlos Soria, ed è nato ad Ávila, poco a nord di Madrid, il 5 febbraio del 1939. Ha 86 anni e mezzo, e quando l’amico Luis Miguel ha scattato quella foto aveva appena battuto un incredibile record. Fino ad allora, l’alpinista più anziano a calcare la cima di un “ottomila” era stato il giapponese Yoichiro Miura, arrivato sull’Everest a 80 anni nel 2013.

Pochi giorni dopo l’impresa sul Manaslu, in un’intervista al quotidiano sportivo spagnolo Marca, l’ortopedico Manuel Leyes, che ha rimesso in piedi dopo dei seri infortuni il ciclista Alberto Contador e calciatori come Zinedine Zidane e Luka Modrić, ha raccontato che Soria, che lui segue dal 2017, “dimostra che l’età non è una condanna ma una sfida, e che con una genetica positiva, tanta disciplina e un allenamento costante si possono sfidare le leggi dell’invecchiamento”. Secondo Leyes, lo sforzo sostenuto da Soria per arrivare sul Manaslu “equivale a compiere tre maratone una dopo l’altra”.

L’alpinista mi risponde dalla sua casa di Moralzalzal, un piccolo centro ai piedi delle montagne della Castiglia. Nella sua voce si sente vibrare la gioia, accompagnata da ciò che resta della grinta fissata il 26 settembre dalla foto di Luis Miguel López Soriano. Ma c’è anche una stanchezza infinita.

Buongiorno Carlos, finalmente posso congratularmi con lei. Ho visto le immagini e letto le sue interviste, so che il ritorno in Spagna è stato trionfale, dall’aeroporto di Barajas fino a casa. Ora come sta?
La gioia è stata enorme, l’attenzione del pubblico e della stampa al mio ritorno e nei giorni successivi è stata una meraviglia e una sorpresa. Adesso però sono incredibilmente stanco. Sono stanco, sono disorientato, fatico a fare qualunque cosa. In una parola, sono vecchio.

La sua ascensione al Manaslu ha aperto degli orizzonti impensati per gli appassionati di montagna non più giovani. Il suo ortopedico Manuel Leyes ha detto che “Carlos Soria dimostra che l’età non è una condanna ma una sfida”, e che “chi pensa che sia troppo tardi per realizzare un sogno deve guardare a lui”. Qual è il suo segreto?
Ringrazio il dottor Leyes di queste parole, se sono un esempio per qualcuno mi fa molto piacere. Non c’è nessun segreto, solo tanta passione e tantissimo allenamento, soprattutto negli ultimi anni.

Lei non è mai stato un alpinista professionista. Che lavoro ha fatto nella vita?
Ho iniziato a lavorare da ragazzo, a 11 anni in una legatoria di libri, dopo la fine della Guerra Civile in Spagna si faceva la fame. Poi sono diventato tappezziere, il mestiere di mio padre e mio nonno. Ho aperto una bottega a Madrid, ho lavorato moltissimo, anche all’estero. Ma ho sempre trovato il tempo per la montagna. L’alpinismo, certo, ma anche i sentieri, l’arrampicata in falesia, lo scialpinismo, lo sci da fondo.

Negli ultimi anni lei è diventato famoso per le sue avventure sugli “ottomila”, dal K2 salito a 65 anni, fino al Kanchenjunga raggiunto a 75 e all’Annapurna a 77. Prima, però, aveva percorso in lungo e in largo i Pirenei e le Alpi…
Proprio così. Ho fatto centinaia di salite, inclusi il Cervino e il Monte Bianco in cordata con mia moglie, che ha sempre condiviso e accettato la mia passione. Nell’elenco compaiono anche delle ascensioni impegnative come la prima ripetizione spagnola della parete Ovest del Dru, compiuta nel lontano 1962, dieci anni dopo la prima di Guido Magnone e compagni. Non eravamo male, io e i miei compagni di allora!

Tra un’uscita e l’altra sulle Alpi c’erano tanto allenamento e tanto sport.
Sì, tutta la vita, anche quando il lavoro era molto e la nascita delle mie quattro figlie (oggi la più grande ha 60 anni) mi richiedeva di dedicare molto tempo alla famiglia. Sono andato in pensione a 65 anni, mi sono trasferito dalla capitale a Moralzarzal, ai piedi della Sierra de Guadarrama, e qui fare sport è diventato ancora più facile.

Molti alpinisti partono per le grandi montagne della Terra grazie all’aiuto degli sponsor. Lei invece si finanzia da solo. E’ proprio così?
Sì. Per qualche anno, quando ho iniziato a salire gli “ottomila”, mi ha aiutato il BBVA, il Banco Bilbao Vizcaya Argentaria. Poi quella collaborazione è finita. Quest’anno, per me e per il fotografo e cameraman Luis Miguel, ho speso 70.000 euro. L’unico contributo, di 8.000 euro, è arrivato dal Governo regionale della Castiglia. Ma va bene così.

La sua ascensione al Manaslu ha stupito anche per i ritmi. Dopo le rotazioni per acclimatarvi siete saliti saltando il campo 2, e poi direttamente dai 6900 metri del campo 3 alla vetta, con solo una breve sosta al campo 4

A 60 o 70 anni andavo molto più forte di adesso, e uno sforzo come questo non mi avrebbe spaventato. Sul Manaslu ho sentito tutto il peso degli anni, e ho avuto due problemi seri. La mia protesi al ginocchio funzionava male, non riuscivo a piegare davvero la gamba. E poi in salita mi si è rotta una protesi dentale, non ho più potuto mangiare cibi solidi, ho perso sei chili. Era importante fare presto.

In discesa lei ha usato l’elicottero dal campo 3 al campo-base. Colpa della protesi al ginocchio?
Non solo. Scendere è sempre più difficile e pericoloso di salire, e sul Manaslu la gamba non funzionava bene. E poi ero stanco, terribilmente stanco. La salita era fatta, l’elicottero non ha tolto nulla alla mia vittoria.

Torniamo alla sua “formula magica”, al suo segreto. Cosa c’è, oltre all’allenamento e alla passione?
Contano l’allegria, la voglia di fare, conta avere interessi e passioni – la montagna o qualcos’altro, poco importa – nella vita al di fuori del lavoro. Per me è sempre stata fondamentale la serenità, essere pienamente accettato in famiglia. Quando ho detto che volevo tornare sul Manaslu, né mia moglie né le mie figlie hanno provato a fermarmi.

Salire il Manaslu nel 2025 è servito anche a celebrare un ricordo
E’ vero. Cinquant’anni fa, nel 1975, Jerónimo López e Gerardo Blázquez hanno raggiunto la cima, diventando così i primi alpinisti spagnoli a salire un “ottomila”. C’ero anch’io in quella spedizione, avevo 36 anni, stavo bene ma mi sono dovuto fermare più in basso. Però ci tenevo a celebrare questo anniversario.

Lei da anni raccoglie fondi per il villaggio di Sama, o Samagaon, 3530 metri di quota, toccato dai trekker e dagli alpinisti che salgono verso il campo-base
E’ vero, aiuto Sama e la sua gente da molti anni, e con i fondi che ho raccolto negli anni in Spagna ho costruito una scuola. Una grande scuola, per un centinaio di ragazzi, molti dei quali arrivavano e arrivano a piedi dai villaggi vicini. Ho sempre fatto base nel monastero buddhista, che per me è diventato una casa. Chi vuole dare una mano trova i recapiti sulla pagina Facebook Yo subo con Carlos Soria.

E’ tornato a Samagaon anche quest’anno?
Certamente. E’ stata una giornata triste, perché ho scoperto che il vecchio lama, il monaco con cui ho collaborato per tanti anni, era morto. Ma è stato sostituito dal figlio, e la collaborazione con la gente di Sama va avanti.

Lei ha salito 12 “ottomila” su 14. Vuole completare la collezione affrontando lo Shishapangma e ritentando il Dhaulagiri?
Mi piacerebbe molto, ma adesso non riesco a fare progetti di spedizioni. Come le ho detto all’inizio sono stanco, molto stanco. Quando mi sarò riposato vedremo.

Stanchezza a parte, c’è una frase utile per sintetizzare questo momento della sua vita?
Sì. Sto cercando di allungare il mio tempo di vita, facendo quello che mi piace davvero fare.

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