I “careghete”, gli abilissimi seggiolai dell’Agordino
Nella Valle del Mis e dintorni si conserva una tradizione antica, quella dei seggiolai, artigiani ambulanti che realizzano preziose sedie con fasci di carice e legno. Sarà possibile rilanciarla?
“Alla sera l’albero era in piedi, il giorno dopo era diventato sedia”. Così la tradizione orale dell’Agordino, ricorda ancora oggi uno degli aspetti più stupefacenti che riguardavano l’attività dei suoi seggiolai, i “careghete”, ovvero gli artigiani ambulanti che partivano da quell’area dolomitica per impagliare e costruire sedie. L’abilità e la velocità nel trasformare un albero in sedia era spesso vista, comprensibilmente, come una magia, riconoscendo a quel mestiere e ai suoi esperti una maestria speciale.
Da piccole località come Sagron, Mis, Gosaldo e dalla Valle del Mis in particolare, da fine agosto a primavera, uomini e sovente anche bambini – fin dagli otto anni d’età, per imparare i segreti del mestiere – lasciavano il proprio paese a piedi o in bicicletta e raggiungevano le località della pianura e dell’Appennino, in tutta Italia, per offrire il proprio lavoro al fine di realizzare sedie e sgabelli impagliati.
Valicavano le Alpi fino in Francia, dove erano particolarmente apprezzati, per dedicarsi ad una vita raminga, nomade, faticosa per le privazioni, stando via da casa anche diversi anni. Con sé avevano poche cose, quelle adatte al mestiere: come gli attrezzi e i fasci di carice, in dialetto “lopa”, i lunghi fili di erba secca che venivano raccolti agli inizi di luglio nelle zone umide come gli stagni e che, abilmente intrecciati e arrotolati su sé stessi, andavano a formare la seduta di paglia.
I fasci d’erba asciugati quantomeno non pesavano troppo durante il viaggio. Gli alberi si trovavano sul posto, e potevano essere di varie essenze, dall’acacia, al pioppo, al noce, ma anche il larice, all’occorrenza e così via.
Quella sapienza nel creare sedi e sgabelli si è tramandata di padre in figlio fin dal Settecento tra le Dolomiti agordine, e ha avuto un arresto sensibile dal secondo dopoguerra, con l’industrializzazione, ma quelle sedute sono tuttora molto ricercate e apprezzate. Sono diventate, anzi, quasi oggetti di culto.
Vengono ancora fatte a mano da uno sparuto gruppo di discendenti di quei seggiolai dalle mani sapienti. Il tatto è infatti il più importante dei cinque sensi per costruire una sedia impagliata, tant’è che diversi seggiolai erano non vedenti.
Lo apprendo durante una dimostrazione pubblica in piazza a Sagron Mis dove cinque seggiolai, di cui uno proveniente dalla Francia, sono al lavoro a favore di turisti e giornalisti in occasione della quarta edizione del Festival “Personaggio dell’anno”, che si è tenuto proprio a Sagron Mis tra il 19 e il 21 settembre 2025.
Ma come mai, tornando alla magia iniziale, si usava il legno tagliato di fresco? “Con le parti del tronco ancora umide si realizzano i montanti ovvero le parti verticali. Invece pioli, poggiapiedi, “sparandole” (elementi a lato della seduta), sono di legno stagionato e vengono incastrati nelle parti umide, così quando si asciugano, sono letteralmente inchiodate alla struttura. “Ho sedie di cento anni che sono ancora perfette”. Così risponde Enrico Stalliviere, discendente di seggiolai, montanaro e abile seggiolaio per passione lui stesso, mani forti, fisico asciutto e cervello fino. Ma soprattutto grande narratore di storie e aneddoti legati all’attività dei seggiolai, a cui ha dedicato tre libri. Su questo mestiere esiste infatti pochissima letteratura e a Gosaldo un settore espositivo del Museo Etnografico mostra alcuni strumenti del mestiere.
I seggiolai erano consapevoli della qualità distintiva del proprio lavoro e quella sapienza da maestri era difesa per conservarne l’esclusiva: esiste infatti un gergo dei seggiolai – il “furbesco” – che solamente loro comprendono, un linguaggio che spesso inverte le sillabe delle parole oppure prende a prestito termini da altre lingue modificandoli.
Oggi le amministrazioni comunali di questa zona organizzano periodicamente corsi per insegnare e tramandare il mestiere, ma i numeri dei giovani interessati a seguirli non è mai troppo alto. Eppure, garantiscono i cinque esperti le cui mani non si fermano un secondo nell’intrecciare e tirare con forza i fili di carice essiccati – a volte inumiditi con qualche spruzzo d’acqua per riprendere elasticità – la domanda di queste sedie o la richiesta di abili impagliatori continua ad essere alta.
Una sedia costruita ex-novo costa dai 150 euro in su e arrivano richieste anche dal Meridione e d’Oltralpe. “Se avessi qualche anno di meno – conclude Ernico Stalliviere – aprirei un atelier a MIlano e uno a Parigi. A una fiera dell’artigianato sono arrivati un giorno degli arabi, mi hanno chiesto il prezzo delle sedie e poi non le hanno comprate, perché costavano troppo poco: se costa poco non è preziosa! Ecco, ci vorrebbe questa svolta, ma da fare qui, tra le nostre montagne”.