
Una fortunata missione di soccorso si è svolta venerdì 19 settembre sull’imponente e difficile parete settentrionale del Piccolo Mangart di Coritenza, nell’estremo lembo del Friuli-Venezia Giulia, al confine con la Slovenia, nel cuore delle Alpi Giulie.
È qui che intorno alle 15, a settecento metri di dislivello dall’attacco della parete e a circa duecento dalla sua conclusione, un incidente ha interessato una cordata lungo la via Lomasti, una delle più famose e difficili linee storiche della parete, aperta in solitaria il 16 agosto 1978 da Ernesto Lomasti, straordinario alpinista di Pontebba.
Secondo la nuova guida Alpi Giulie. Vie di roccia classiche e moderne di Emiliano Zorzi e Saverio D’Eredità (Idea Montagna, 2025), si tratta di una “scalata di altissimo livello, la cui ripetizione è riservata ad alpinisti molto preparati, considerando le difficoltà nel posizionare protezioni e la quasi totale assenza di chiodi (in parete ne sono presenti una decina)”.
Il capocordata, 65 anni, stava affrontando l’ultimo tiro di corda difficile, su un tratto dove la parete strapiomba, a circa 2100 metri di quota, quando un intero pilastro di roccia, passaggio obbligato della via, ha ceduto sotto alle sue mani e ai suoi piedi, frantumandosi e facendolo volare per una ventina di metri. Il volo è stato fermato dal secondo di cordata, seppur colpito da frantumi di roccia, e dall’ultimo chiodo ben piantato poco prima, circa otto metri sotto il pilastrino.
Quel capocordata è Roberto Mazzilis, il fuoriclasse carnico autore di migliaia di scalate, circa cinquecento vie nuove e un centinaio di solitarie, tutte tra le Alpi Carniche e le Alpi Giulie dalla fine degli anni Settanta fino a oggi.
“Il pilastrino al quale mi sono giocoforza aggrappato – racconta Mazzilis, che oltre ad un taglio alla mano si è procurato una frattura al tallone – si è letteralmente scollato dalla sua sede, perché la parete era molto bagnata, come spesso accade qui. Prima o poi sarebbe successo, è capitato a me. Un pezzo di parete che non mi ha accettato e che il mio sesto senso, stavolta, ha male interpretato”.
Mazzilis era alla sua terza ripetizione della via, la prima fu quarantasei anni fa – questa volta assieme a un compagno molto giovane – perché alla figura di Lomasti è molto legato. Con il fortissimo alpinista pontebbano, prima che scomparisse prematuramente nel giugno del 1979, Mazzilis aveva condiviso tra l’altro, nel 1978, l’apertura di quello che viene considerato, dopo il Diedro Cozzolino, il secondo e ultimo grande problema delle Alpi Giulie italiane dell’epoca, la fessura Nord della Cima Grande della Scala, oggi valutata di VII+.
Negli ultimi due anni le pareti Nord delle Giulie hanno visto due terribili incidenti mortali in parete, che sono costati la vita a due cordate di alpinisti. Nel 2023 a due giovani finanzieri impegnati sulla via Piussi al Mangart, e nel 2024 a due soccorritori austriaci sulla via Comici di Riofreddo. In entrambi i casi all’origine della caduta pare siano stati distacchi di porzioni di roccia, nel primo quella che interessava l’intera sosta e i suoi ancoraggi, a cui gli alpinisti sono stati ritrovati ancora collegati.
Roberto Mazzilis e il suo compagno di cordata hanno dovuto chiamare i soccorsi perché a quel punto, con i danni fisici riportati, anche se lievi paragonati all’accaduto, era impossibile proseguire la via in sicurezza fino in cima, e scendere in corda doppia lungo 700 metri di parete sarebbe comunque stato molto rischioso.
L’équipe del Soccorso Alpino regionale si è portata sulla perpendicolare dei due feriti e ha calato con il verricello il tecnico del soccorso alpino per un’ottantina di metri, superando così il tratto strapiombante sopra agli alpinisti.
Il tecnico ha riconosciuto subito Mazzilis, ha valutato in pochi secondi l’ottima qualità della sosta alla quale i due erano ancorati, ed è riuscito a svincolarsi velocemente e in sicurezza dal verricello, proprio sul loro aereo terrazzino. Il primo alpinista è stato portato via, dopo le opportune verifiche, con il suo stesso imbrago.
In una seconda rotazione anche il secondo alpinista è stato prelevato con tutto il materiale della cordata. Solo i due chiodi della sosta sono rimasti in loco. E’ stata un’operazione da manuale e senza intoppi. Molto più difficile e rischioso sarebbe stato dover impiegare una barella, aumentando il personale in parete, o realizzare un soccorso senza elicottero.
“Confesso – ha scritto Mazzilis sulla pagina Facebook del Soccorso Alpino del Friuli-Venezia Giulia – che quando ho visto l’elicottero giallo in avvicinamento mi sono commosso. Con questa mia testimonianza desidero ringraziare, anche a nome di Luca, tutti coloro che si sono attivati per il nostro velocissimo e impeccabile recupero, non senza rischi. Soprattutto il pilota, il tecnico verricellista e il tecnico di elisoccorso che è un caro amico, Stefano Cavallari”.
Il recente, e rapido, deterioramento della roccia nelle Alpi Giulie
L’alpinista carnico ci tiene a sottolineare che le condizioni delle vie di roccia nelle Giulie sono in veloce mutamento, e lo afferma con la memoria e l’esperienza che gli deriva da una lunga frequentazione delle stesse.
“Una serie di concause rende estremamente variabile e imprevedibile la resistenza della roccia e quindi le difficoltà – ci dice al telefono. Mi sento di confermare che le grandi vie giuliane, più di un tempo, sono caratterizzate da incognite che ne determinano l’impegno globale. In tutta la via Lomasti non esiste una sola lunghezza di corda dove si possa scalare senza il rischio costante di afferrare un appiglio o addirittura un intero lastrone che si stacchi sotto il proprio peso”.
“L’uso delle protezioni “veloci” è possibile rarissimamente” prosegue Mazzilis, “ed è ancora meno efficace proprio per la presenza di terriccio e ciuffi di erba, che quando sono bagnati (e quest’anno, a quanto mi risulta, l’intera parete non è mai stata in condizioni ottimali) aumentano drasticamente le difficoltà tecniche e peggiorano la tenuta della roccia.”
Ciò nonostante Roberto Mazzilis ripromette a sé stesso e alla parete di tornare. “Grazie anche a “te” Piccolo Mangart – scrive sempre su Facebook – per averci concesso di tornare a casa vivi! Per “te” è un arrivederci!”.