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Charles Dubouloz, Symon Welfringer e la sfortunata spedizione al Gasherbrum IV

I due fortissimi alpinisti francesi hanno tentato nelle scorse settimane di salire sulla “montagna lucente” aprendo una nuova via. A rendere impossibile la scalata sono state soprattutto le temperature elevatissime. Ma non solo

Gasherbrum IV, 7.925 metri di ghiaccio e granito al confine tra Pakistan e Cina: una delle montagne più belle e temute del pianeta. È qui che gli alpinisti francesi Charles Dubouloz e Symon Welfringer hanno tentato – invano – la salita in stile alpino, un anno dopo il successo sullo Hungchhi in Nepal (7.029 m). Una spedizione durissima, segnata da condizioni climatiche mai viste, da incidenti sfiorati e da una valanga che ha travolto il campo base. Ecco cosa hanno raccontato al loro ritorno i due fortissimi alpinisti del Team Millet.

Charles, Symon, perché il Gasherbrum IV?
Charles Dubouloz: Perché dal campo base quelle che hai davanti sono cime gigantesche. È impossibile non sognare in grande. Sapevamo che le chance reali non superavano il 10-20%. Salire il Gasherbrum IV in stile alpino, senza corde fisse né ossigeno, è un compito mostruoso.
Symon Welfringer: Era un sogno coltivato da tempo. Dopo l’Hungchhi ci sembrava naturale alzare l’asticella e puntare a qualcosa di ancora più impegnativo.

Che condizioni avete trovato?
Charles: Anche nelle migliori condizioni il Gasherbrum IV resta una delle montagne più difficili al mondo. Ma con quelle che abbiamo incontrato, era quasi una missione impossibile.
Symon: Uno zero termico a 6.000 metri, sotto un sole implacabile… era impensabile. Senza rigelo notturno non si formava neve dura. Questo significa più lentezza, più pericolo, più fatica. Ci sprofondavamo fino alla vita, anche con le ciaspole. E i locali ci dicevano che non avevano mai visto nulla di simile.
Charles: L’Icefall era in uno stato pessimo, mai visto prima.

In Himalaya il rapporto con il rischio è diverso rispetto alle Alpi. Come lo vivete?
Symon: Cambia tutto. Quando parti per una spedizione del genere, fai di tutto per ridurre i rischi. Ma allo stesso tempo sei obbligato ad alzare il tuo livello di accettazione. Non farlo significa mentire a sé stessi. Senza questa consapevolezza, non lasci nemmeno il campo base.
Charles: Un episodio lo dimostra bene. A 6.500 metri, mentre preparavo una piattaforma con la pala, il terreno è crollato sotto i miei piedi.Sotto c’erano duecento metri di crepaccio. Mi ha trattenuto per miracolo una lastra di ghiaccio, e Symon è intervenuto subito.
Symon: In Europa non avremmo mai bivaccato in un punto così, né ci saremmo messi sotto seracchi del genere. Ma laggiù l’ignoto è massimo, e va accettato.
Charles: È quello che chiamiamo “pensiero himalayano”: accettazione del rischio unita a un atteggiamento positivo. Devi crederci, non farti invadere da pensieri negativi, e al tempo stesso mantenere lucidità.

E come se non bastasse, vi siete trovati davanti a una valanga gigantesca.
Charles: Sì. Eravamo nella tenda-mensa al campo base, piantata su una morena, quando abbiamo sentito un boato. Sembrava il crollo di un seracco, ma molto più forte. Siamo usciti di corsa e ci siamo trovati davanti una valanga enorme, a quasi 300 km/h, che scendeva dritta verso di noi. Credevamo di essere protetti, ma non era così. In un attimo la tenda è stata ricoperta di neve, siamo passati dal pieno sole al buio totale.
Symon: È stato angosciante. Ma paradossalmente mi ha fatto più paura il crepaccio che la valanga. Perché lì non avevamo alcun controllo, era destino. Mentre nel caso del crepaccio era legato alle nostre scelte.

Dopo dieci giorni, avete provato di nuovo. Com’è andata?
Charles: Male. Eravamo molto provati fisicamente, faceva un caldo soffocante e la montagna era esattamente nello stesso stato dei giorni precedenti. Abbiamo comunque tentato la parete sud, ma poco dopo l’avvio è arrivata la nebbia. Abbiamo deciso di tornare indietro.
Symon: Non eravamo disposti ad accettare un livello di rischio così alto. Abbiamo visto la morte da vicino due volte in questa spedizione. Non siamo kamikaze. Bisogna trovare un equilibrio.

Charles, tu in passato hai sempre vissuto i fallimenti con amarezza. Stavolta sembra diverso.
Charles: Sì, è la spedizione in cui sono meno deluso. Forse mi sto calmando con l’età (ride). Non abbiamo rimpianti: non si poteva fare meglio in quelle condizioni. Oggi sono più in pace con l’idea di rinunciare. Alla fine, vuoi solo tornare a casa.

Nonostante tutto, sembra che la cordata Dubouloz-Welfringer ne esca rafforzata.
Charles: Con Symon siamo come una vecchia coppia! Dopo tante notti insieme in una tenda di due metri quadri, ci conosciamo a memoria.
Symon: Con gli anni e le spedizioni, il legame cresce ed evolve. È un percorso di vita.

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