
Agosto, ma sembra di essere altrove. Mentre le Alpi si riempiono di voci, code e sudore, una piega nascosta delle Grigne ci accoglie nel silenzio. L’avvicinamento corre all’ombra tra prati inclinati e rocce grigie, l’aria tiepida dell’alba sale lenta dal lago che brilla ancora assopito sotto di noi.
Le pareti si alzano in un dedalo di torri, guglie e canali, un labirinto di pinnacoli che paiono sfidare la legge di gravità. Il nostro è un tracciato d’altri tempi, le mani leggono appigli, i piedi trovano equilibrio su appoggi che sembrano scolpiti per chi sa ascoltare, ogni passo è un incontro, un’occasione per scoprire qualcosa di nuovo.
Lungo i ghiaioni iniziali ci accompagnano i camosci, custodi del mattino, le femmine conducono i piccoli nati da poche settimane tra le pieghe dell’erba e insegnano loro a muoversi leggeri, a scomparire con un balzo quando l’aria porta un odore estraneo. Restiamo fermi a guardarli, la loro naturalezza è la stessa di queste montagne, un’armonia che non chiede nulla in cambio.
Su un ballatoio a metà parete, all’improvviso, l’incontro con il mugo secolare, contorto e tenace, già descritto da Cassin nel lontano 1931, nel corso della sua “prima”. Resiste aggrappato alla parete come se traesse linfa dalle stesse pietre. Sfiorarlo è come stringere la mano a chi è passato prima di noi.
Poco oltre, da un fessurino, sboccia una campanula che si ostina a vivere dove la logica direbbe il contrario. Viene da chiedersi da dove tragga alimento, e perché mai abbia scelto una dimora tanto scomoda. Forse c’è un segreto che non vogliamo vedere: l’essenziale non chiede comodità, basta un niente per resistere.
Quando il sole ci raggiunge in vetta, portando con sé una brezza leggera, restiamo fermi a guardare. Ogni roccia emergente, ogni frammento di calcare assume qui una personalità netta, quasi a voler rappresentare una vitalità inusuale nel mondo minerale, che prende forma e vita nel corso di innumerevoli millenni.
Storie antiche abbarbicate alla roccia, proprio come quei semi che, sfidando ogni logica, hanno preso radice e dato vita a nuove piante, e per un attimo sembra chiaro che scalare non è raggiungere, ma soltantoaccordarsi con ciò che già c’è.
Perché mai un seme portato dal vento è andato a ficcarsi in quella crepa e dà che tragga alimento la pianta non lo so: deve pur esserci una ragione se invece di prosperare tra la boscaglia ha scelto una dimora tanto scomoda per vivere di niente
Riccardo Cassin