Rifugi

Hubert Rogger, da 46 anni al Rifugio Pian di Cengia

La piccola struttura collocata a 2528 metri nelle Dolomiti di Sesto è gestita dalla stessa famiglia dal 1979

Costruito nel 1965 a 2.528 metri di quota, il Rifugio Pian di Cengia è il più alto delle Dolomiti di Sesto e il più piccolo dei quattro rifugi del Parco Naturale delle Tre Cime. La sua posizione lo rende unico sia per gli straordinari panorami che attendono chi lo raggiunge sia per l’accoglienza della famiglia che lo gestisce ininterrottamente dal 1979. Si raggiunge in circa tre ore dal Rifugio Auronzo, percorrendo itinerari senza difficoltà tecniche.

Hubert Rogger da 46 anni ogni primavera sale in quota con la famiglia per spalare la neve e approvvigionare il rifugio personalmente. L’elicottero è utilizzato solo quando la strada che arriva da forcella Lavaredo, è innevata, franata o per portare merce che non si riesce a trasportare con il trattore. È sempre lui, insieme ai ragazzi che lavorano in rifugio, a curare la manutenzione e ripristino della carrareccia militare che sale da Pian di Cengia basso e spesso non è cosa semplice. Con lui trascorrono l’estate al rifugio la moglie Greti, la figlia Steffie e il di lei marito Nicola.

È Steffie che ci viene incontro al nostro arrivo e con lei iniziamo la chiacchierata.

Il Rifugio Pian di Cengia è a un passo dal confine che unisce le province di Bolzano e Belluno, per essere in Veneto basta uscire dalla porta e camminare per una decina di metri fino alla strada. Ho usato la parola “unisce” perché il confine, inteso come divisione, ormai noi non lo sentiamo più e la stessa sensazione la hanno i clienti che arrivano da ogni parte del mondo, io credo che sia una cosa bellissima. A ricordare a tutti che un confine qui è esistito ci sono le testimonianze della Grande Guerra il cui fronte passava proprio in questa zona. Trincee, sentieri e resti di costruzioni sono sparse intorno il rifugio e attirano molti turisti che ci chiedono informazioni. È chiaro che questo limite, il “confine”, non è più importante ed è una sensazione bellissima”.

Quindi sei cresciuta in rifugio.
Sì avevo sei mesi la prima volta che sono stata portata qui, come mio fratello più grande, Daniel, che aveva 9 mesi, ma non siamo cresciuti in rifugio solamente noi. Quando mio padre e mia madre son saliti la prima volta avevano 27 e 21 anni, giovani per essere gestori di un rifugio e lo hanno fatto crescere davvero come un figlio. Ora insieme a loro ci sono io con mio marito Niki e cinque dipendenti, qualcuno pensa che possa essere romantico lavorare qui mentre può essere anche molto impegnativo. Ci si sveglia molto presto intorno alle 6 e si preparano le colazioni per i clienti. Mia mamma ed io a turno ci riposiamo per un’ora circa. Per me è un momento prezioso. Poi iniziano ad arrivare escursionisti, alpinisti e gruppi… è molto bello e allo stesso tempo impegnativo, non è un lavoro per tutti”.

Papà Hubert non si distrae un attimo e ci ascolta parlare. Nei primi anni di gestione portava a spalle il materiale per il sentiero che dal Rifugio Lavaredo porta prima a Pian di Cengia Basso e dopo i laghetti sale ripidamente fino alla Forcella Pian di Cengia. Al tempo la vecchia strada militare di fatto non esisteva più. Con l’aumentare dei clienti Hubert ha iniziato a utilizzare una moto e ora, sempre sullo stesso itinerario che lui stesso ha ripristinato come era durante la Grande Guerra, rifornisce il rifugio portando giornalmente quanto occorre con un trattore.  

Hubert interviene nel discorso e ci racconta della strada che prima era un sentiero per camosci, delle frane che ogni anno creano danni e che da soli si devono sistemare per passare con il trattore se non c’è neve. “Perché capitava spesso a inizio stagione di dover far arrivare una ruspa per pulire la strada, ora nevica meno ma abbiamo avuto anni con tanta tanta neve. insomma non si riposa un solo momento durante la giornata. Ho faticato molto nella mia vita ma sono felice così”.

Hubert, sono cambiati molto i clienti da quando ha iniziato a gestire il rifugio?
Beh prima gli ospiti erano soprattutto gente di montagna, ben attrezzata con scarponi zaini e tutto quanto serviva. Noi non offrivamo molta scelta ma erano contenti lo stesso, un piatto di pasta, le uova con lo speck e le zuppe tradizionali. Erano persone che amavano la vita semplice. Ogni tanto si esagerava con il vino, chiasso e risa ma poi tutti a riposare. Adesso sono cambiati, chi dorme da noi sono sempre ancora montanari, ma ogni tanto arriva qualche gruppetto che con la montagna non ha nulla a che fare. Si fermano poco, fanno qualche fotografia poi come sono arrivati tornano a valle con scarpe non adatte, quando va bene, e a volte le buste di plastica. Sì, proprio di plastica, quelle del supermercato. Per fortuna per arrivare qui non ci sono funivie o strade, si deve camminare tanto quindi la maggior parte dei clienti sono montanari veri”.

Hubert si allontana e chiedo a Steffie notizie del fratello Daniel
Anche lui è stato con noi per ventisette stagioni, poi è diventato guida alpina. Era già un bravo alpinista e gli piaceva molto la libertà. Era chiaro che diventare guida fosse la sua strada. Passa ogni tanto al rifugio per scalare la sua montagna di casa, la Cima Dodici, con i suoi clienti o per far vivere le sue figlie la vita in rifugio. Per lui fare la guida è il più bel lavoro che si possa immaginare”.

E per te Steffie? È la stessa cosa?
“Assolutamente sì. Gestire un rifugio è un lavoro impegnativo che richiede dedizione, ma non potrei desiderare niente di meglio”.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close