Jörg Hofer, il pittore della Val Venosta che usa la sabbia di marmo
Nel suo atelier con vista sul Gruppo dell’Ortles Cevedale, l’artista altoatesino realizza quadri astratti utilizzando (anche) il materiale recuperato nella cave di marmo della zona
«Quando guardo fuori dalla finestra del mio atelier e vedo questo ghiacciaio, penso a com’era più grande e imponente quand’ero ragazzo. E provo inquietudine». Siamo a Lasa, la piccola capitale del marmo nella Val Venosta, un paese che nel suo stemma ha un martello e due scalpelli, il bianco del marmo e il nero della roccia che lo custodisce, l’ardesia. A parlare è Jörg Hofer, 72 anni, il più noto pittore contemporaneo del luogo. Il suo studio è ospitato in un ex fienile, che il maestro ha fatto ristrutturare da un architetto locale. Soffitti altissimi, finestre enormi affacciate sul paese e sulle montagne del gruppo dell’Ortles-Cevedale. Hofer è un artista di richiamo internazionale: ha esposto in numerose gallerie a Vienna e in tutta l’Austria, in Italia, negli Stati Uniti. Fra i suoi estimatori, ci sono collezionisti italiani, svizzeri, tedeschi. Viaggia molto – è appena tornato dall’India – ma le sue radici sono in questo piccolo borgo dedito alla coltivazione di albicocche e all’estrazione di un marmo di altissima qualità. E senza la montagna con le gallerie da cui si estrae la preziosa pietra bianca, anche la produzione artistica di Jörg Hofer avrebbe preso una strada diversa.
«Per questo quadro, mi ha ispirato una frana venuta giù dalla montagna. Qui c’è invece un ghiacciaio, un banco di neve, una roccia. Lì il Monte Athos, dove sono stato tre volte. Il macrocosmo e il microcosmo», racconta mentre camminiamo fra le sue opere. Colpiscono i colori ma anche la tridimensionalità: ci sono parti in rilievo. «I miei quadri vanno toccati, “sentiti” con i polpastrelli», puntualizza l’artista. Non aspettatevi di “vedere” montagne o luoghi: l’ispirazione è nella mente dell’artista, e l’arte contemporanea come spesso accade non è figurativa e didascalica, ma astratta. Il pittore racconta attraverso l’opera la sua visione e ciascuno può lasciarsi sedurre dalle cromie e dalle texture mettendo le ali alla propria immaginazione. Ispirandosi alla sedimentazione della natura, Hofer crea paesaggi tormentati e increspati, in cui la tempera all’uovo – fatta con pigmenti naturali, tuorlo, olio di lino e acqua – si unisce alla sabbia di marmo, che a Lasa non manca. La lavorazione del marmo genera infatti degli scarti che possono essere tritati finemente, fino a diventare sabbia. Il marmo bianco racchiude microsostanze cristalline, che regalano una lucentezza particolare.
Il percorso che ha portato questo figlio di Lasa a differenziarsi da suoi conterranei scultori del marmo è stato lungo e avventuroso. È la storia di un ragazzino da sempre affascinato dai colori, ma che era destinato a lavorare nel settore della carne, che era l’attività di famiglia. «Ho fatto il liceo commerciale a Merano e dopo la morte di mio padre ho dovuto lavorare per tre anni nell’azienda familiare», racconta. «Ma desideravo imparare a dipingere. Un artista di mia conoscenza ha visto i miei lavori e mi ha consigliato di frequentare l’Accademia di Belle Arti. Mia madre non era d’accordo, ma ho voluto tentare ugualmente». Così nel 1973 il giovane Jörg bussa alle porte dell’Accademia di Belle Arti di Vienna. «Eravamo in 300 candidati, i posti erano solo 30. Mi hanno preso», ricorda con orgoglio.
Forte e tenace come le sue montagne, Hofer non si è fatto scoraggiare dalle difficoltà. Non aveva un soldo in tasca, nessuno gli finanziava gli studi nella capitale austriaca, quindi per mantenersi ha lavorato come cuoco. Alla fine, conseguito il diploma della prestigiosa Accademia viennese, ha cercato la sua strada. È tornato a Lasa, poi è ripartito. «Un momento importante per me è stata la visita agli affreschi di Pompei, dove ho scoperto che era stata utilizzata sabbia fine e polvere di marmo per la realizzazione della superficie sulla quale era stato steso il colore», spiega Hofer. «A Madrid anche Tapies usava la sabbia del mare per creare tridimensionalità. Mi sono detto: perché non provare? Nel mio paese, a Lasa, c’era un’importante cava di marmo, utilizzato dagli scultori. Gli scarti venivano gettati e ho iniziato a recuperarli».
Così è incominciata l’avventura artistica di Jörg Hofer che nel frattempo, dopo il rientro a Lasa, ha trovato una fervente sostenitrice: sua moglie. «Ci siamo conosciuti a Vienna e abbiamo scoperto che abitavamo a pochi metri l’uno dall’altra a Lasa». La consorte, con il suo stipendio di maestra, è stata all’inizio la colonna portante della famiglia, quando il giovane artista doveva ancora farsi conoscere e crearsi un suo giro di gallerie e clientela. Poi la sua carriera è decollata. Nel 2014, il presidente della Repubblica austriaca gli ha conferito il titolo di “professore”, il massimo riconoscimento per un artista. Quali reazioni ci sono state a Lasa? «Mi hanno regalato un agnellino, quando le greggi sono rientrate dalla transumanza in Val Senales», racconta sorridendo. In fondo, l’agnellino era quasi l’emblema esistenziale di quest’artista, anche lui transumante fra la sua Val Venosta, Vienna e il resto del mondo. «Ho voluto conservare un piccolo appartamento a Vienna, dove ogni tanto vado per incontrare i vecchi amici e per discutere d’arte in un caffè», commenta. «Qui conosco tutti, tutti mi salutano, ma come pittore e artista mi sento solo». Già, è difficile trovare menti affini in un piccolo borgo come Lasa. Oggi ci sono alcuni giovani artisti, o aspiranti tali, ma quando Hofer era un ragazzo il suo talento era una rarità in una valle dove tutti si dedicavano alle mele, alle albicocche e al marmo.
Nella sala dove dipinge, Jörg Hofer mostra un tavolo con decine di pigmenti con una gioia che si legge nei suoi occhi. «Questo è il mio luogo sacro», dice. «Vedi questo verde? È lo stesso usato da van Gogh. Questo blu è carissimo, si ottiene dai lapislazzuli. I pittori del monastero di Monte Maria a Burgusio lo facevano arrivare dall’odierno Afghanistan per i loro affreschi». In questo sancta sanctorum dell’atelier, Hofer setaccia la sabbia di marmo, per ottenere la dimensione che vuole. Poi la sparge usando un rastrello da contadino: «Non è una decorazione. Vado avanti finché sento che il quadro è finito, cioè che contiene quello che volevo esprimere».
Da una delle grandi finestre dell’ex fienile, si scorge un muro in pietra. «Oggi anche qui la gente non vuole più le case in pietra, le distruggono per costruire appartamenti nuovi di dimensioni piccole, che incidono anche sull’umore delle persone. Per me sono importanti lo spazio e la luce».
L’atelier di Lasa del maestro è uno spazio privato e non è aperto al pubblico. Ma se passate dal paese, c’è la possibilità di vedere un’opera giovanile di Hofer. Prenotando una visita guidata (info@marmorplus.it), si può entrare nell’antica chiesetta di San Sisinio, che svetta su un’altura. All’interno, nel 1977 Hofer realizzò un trittico intitolato “Genesi”, rimosso dopo un anno. Dal 2024, l’opera è stata ricollocata nella chiesa, nella posizione originale voluta dall’artista.