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Saper decidere dove nulla è certo

Andare oltre l’esperienza, nella terra incerta delle decisioni vere. Quelle adeguate al momento, anche se diverse dal solito

All’avvio dell’estate, tra creste e ghiacciai, ho incrociato escursionisti, cordate, gruppi ben attrezzati, alpinisti esperti.
Tutti con zaini leggeri e pesanti, cartine, GPS, app meteo, imbraghi, caschi, ramponi. Ma la questione, ancora una volta, non riguarda le dotazioni. Il nodo sta più a monte: nei processi decisionali.

Perché puoi avere tutto l’equipaggiamento corretto, eppure sbagliare strada. Puoi conoscere la relazione a memoria, e trovarti ugualmente spiazzato di fronte alla realtà che hai davanti.

Quel che osservo, e che riconosco anche in me stesso, è che la vera difficoltà sta nel prendere decisioni adeguate al contesto del momento. Destinazioni scelte col dubbio, difficoltà nel rielaborare in loco le informazioni raccolte a casa, difficoltà nel confrontare quel che si ha davanti agli occhi con le proprie capacità reali — e con quelle dei compagni di avventura — in quel preciso giorno, con quella testa, quelle gambe. Difficoltà a valutare con lucidità i tempi, a sentire davvero dove si è, dove si sta andando, e cosa sta accadendo attorno e dentro di noi.

Man mano che si sale, dove la segnaletica scompare, il paesaggio si fa più aperto, aspro e indeterminato e con l’incertezza che aumenta, non sono più le istruzioni a guidarci, è la qualità delle decisioni, che non si improvvisa, ma si coltiva e che non coincide affatto con l’esperienza in senso stretto.

Anzi. Talvolta è proprio l’esperienza, quella sedimentata, quella del “tanto lo so già come va”, a diventare un ostacolo. Se non è attraversata da ascolto, da intuizione, da presenza viva al momento, può trasformarsi in un fardello, una corazza rigida che ci allontana dalla realtà mutevole della montagna.

Anche chi va in montagna da decenni sbaglia. Sbaglia chi si crede immune, chi non si mette in discussione. E sbaglia anche chi ha timore di sembrare fragile, ridicolo, inadeguato se decide di fermarsi, di tornare, di cambiare piano.
Eppure è proprio da quella fragilità riconosciuta che nasce la possibilità di fare scelte sane, vere, rispettose. Per sé e per gli altri.

In montagna non serve la perfezione, serve essere presenti. Serve sapersi leggere dentro mentre si osserva fuori e accorgersi quando stiamo forzando la realtà per farla combaciare con la nostra idea, anziché modificare l’idea per stare dentro la realtà.

In fondo, la buona decisione è quella che ci tiene interi. E che ci lascia – forse – un po’ più liberi da quell’ego sottile che accompagna tutti, bravi e meno bravi, senza fare troppo rumore.

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