La storia della Marmolada e delle sue vie nel nuovo libro di Igor Koller
Tutti gli alpinisti, anche quelli non in grado di andarci, sanno cos’è la Via attraverso il Pesce aperta da due ragazzi slovacchi nel 1981. In “La Marmolada, il Pesce e altre storie”, si scopre la vita di Igor Koller, e del suo amore per la Sud che dura da più di mezzo secolo
Nella storia dell’alpinismo, esistono personaggi la cui attività spazia su decine di massicci e di pareti diverse. Per altri, invece, la notorietà è legata soprattutto a una vetta, se non addirittura a una sola via. E’ certamente così per Igor Koller, alpinista e ingegnere, che è nato in Slovacchia 72 anni fa.
Igor è uno scalatore fortissimo e completo, che ha scalato sulle Dolomiti e sui Tatra, in Val Masino, a Yosemite e in Himalaya, ma la cui notorietà è legata soprattutto a una parete e a una via. Parliamo della Sud della Marmolada, la “Parete d’argento” dei Monti Pallidi. E della Via attraverso il Pesce, Weg durch den Fisch in tedesco, Cesta cez rybu in slovacco, il capolavoro che Igor ha salito nell’ormai lontano 1981 insieme al giovanissimo (17 anni!) Jindŕich Šustr detto “Jindro”.
Una via-capolavoro, che diventa immediatamente famosa, che rende celebri gli alpinisti slovacchi, e che Igor e Jindro superano battendo una concorrenza famosa. A individuare il “Pesce”, una nicchia di roccia levigata che si apre a 500 metri dalle ghiaie, è stato il tirolese Heinz Mariacher, uno dei padri dell’arrampicata moderna sulle Dolomiti.
Heinz un alpinista visionario e fortissimo, che sulle placche della Sud della Marmolada ha aperto altre vie di alta difficoltà come Don Quixote e Hatschi Bratschi, con la sua compagna Luisa Iovane, Luggi Rieser e Reinhard Schiestl. E che prima della vittoria dei due slovacchi ha già tentato il Pesce per tre volte.
I tentativi, l’apertura e le ripetizioni della Via attraverso il Pesce hanno ovviamente un ruolo importante in La Marmolada, il Pesce e altre storie (Antiga edizioni, 206 pagine, 28 euro), il piccolo e curatissimo volume in cui Igor racconta la sua storia con l’aiuto di Luca Calvi, suo amico e ottimo traduttore. Le pagine del libro, però, consentono a chi le legge di conoscere molte altre storie.
All’inizio, Igor Koller racconta le sue prime avventure sulla parete della Kalamárka, in Slovacchia, con “chiodi che noi stessi forgiavano” e “la nostra prima corda di canapa, comprata in un cantiere. Una di quelle che i muratori usano per trasportare i secchi di malta”. Ha un ruolo importante nella formazione umana e alpinistica di Koller la morte del fratello maggiore Peter, ucciso da una valanga nel 1970 nella catena dei Bassi Tatra.
In quegli anni, e fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, per gli alpinisti dell’allora Cecoslovacchia è quasi impossibile traversare la Cortina di Ferro, il confine che stacca i Paesi legati all’Unione Sovietica dal resto del continente, per andare ad arrampicare sulle Dolomiti o sul Monte Bianco. Il racconto di quella lotta con la burocrazia socialista, e della prima avventura sulle Dolomiti nel 1973, attraversa tutta la prima parte del libro.
Rientra nello stesso filone il racconto del viaggio in bus sulle Alpi organizzato nel 1985 dal Club Alpino Slovacco James per un gruppo di 42 alpinisti. Vediamo una parte di loro in una bella foto di gruppo, ai piedi della Marmolada, tra il bus e una grande bandiera pirata con il teschio e le tibie.
Pagina dopo pagina, si scopre che Igor Koller, prima e dopo il Pesce, ha aperto altre quindici vie di alta difficoltà sulla “Parete d’argento”. Un elenco che inizia con Slovakia (VI-, A3), tracciata in tre giorni nel 1973 con Marián Marek, Miroslav Ondras e Pavol Tarábek. E che dopo la Via attraverso il Pesce, che è la seconda dell’elenco prosegue con Fram (IX-, A0), aperta in due giorni nel 1991 con Peter Ondrejovic.
L’ultima via nuova, la Edita (IX-, A2) viene aperta da Igor nel 2009, in tre giorni insieme a Juraj Svingál. Viva Gorby, Vivat Gorbi nella lingua dei due alpinisti, tracciata nel 1991 con Dino Kuran, è un tributo alle speranze di milioni di giovani dell’Est nella voglia di democrazia e di apertura del leader sovietico Mihail Sergeevic Gorbaciov.
Negli anni, com’è inevitabile, il capelluto e tenebroso Igor Koller che osserva il lettore dalla copertina indossando camicia a scacchi e pantaloni alla zuava (la foto è del 1973) lascia il posto al signore con pochi capelli (ma con il casco si vede meno…), barba grigia e occhiali che vediamo all’attacco del pesce nel 2017, poco prima di spegnere le sue prime 65 candeline.
Negli anni, come si scopre nel libro, l’amore di Igor per la Sud della Marmolada si trasforma in una solida amicizia con gli altri alpinisti travolti dalla stessa passione. Racconti interessanti, e varie foto-ricordo, ci mostrano l’autore con Iovane e Mariacher, con Maurizio Giordani che sulla Marmolada ha tracciato decine di vie, con il giovane tirolese Hansjörg Auer, autore nel 2007 della prima in free solo del Pesce.
Molte pagine, spesso molto coinvolgenti, sono dedicate da Koller ai tanti amici slovacchi con cui ha condiviso speranze, tentativi, paure e vittorie sulla Sud, e con cui ha patito bivacchi gelidi, cadute di pietre e discese in corda doppia nella bufera. Se qualcuno dei lettori del libro dovesse avere un’immagine facile e solare delle Dolomiti, gli basterà leggere un paio di capitoli per scoprire che invece la “parete d’argento” è una montagna autentica e seria, battuta da violenti temporali, e dove anche in piena estate è possibile una spruzzata di neve.
Per diventare amici in montagna, però, non c’è bisogno di legarsi alla stessa corda. E l’amicizia più bella del libro è quella che nasce quasi subito tra Igor Koller e i suoi amici slovacchi e Nino Dal Bon, storico gestore (non proprietario, carissimo traduttore!) del rifugio Onorio Falier, che è la base ai piedi della Sud.
Nel 1973, quando i ragazzi di Bratislava e dintorni arrivano “impazienti, carichi come muli e sudatissimi”, Nino li fa accampare davanti alla sua finestra, per “tenerli sotto controllo”. Pochi giorni dopo, però, quando Igor e i suoi amici ridiscendono bagnati fradici e a notte fonda dalla parete, li fa accomodare al caldo e all’asciutto all’interno, li rimpinza di spaghetti, tè, e “bicchierini di roba forte”, li fa dormire quanto basta. La montagna unisce, lo sappiamo. Ma scoprirlo ancora una volta fa bene.