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Broad Peak, la prima salita (seconda puntata)

Avevamo lasciato, nella scorsa puntata, gli alpinisti ai quasi 7mila metri dell’ultimo campo. Esausti dal primo tentativo fallito di assalto alla vetta del Broad Peak. Il giorno seguente è tempo di discesa al base. Il tempo è brutto e di tentare a breve non se ne parla.

Ci vorrà qualche giorno prima di rivedere il sereno ma, non appena il sole fa capolino, ecco la partenza. In due giorni di cammino i quattro sono di nuovo ai 6.950 metri di campo 3. Stanchi e con poche riserve d’acqua. Ma decisi a tentare il tutto per tutto.

Alle 2.30 il rituale della partenza. Vestiti, scarponi e colazione. E il gelo che attanaglia e penetra nelle ossa. La parete è ostica, tratti di neve dura e compatta si alternano al ghiaccio vivo. La temperatura si aggira sui meno trenta e le dita dei piedi rispondono sempre di meno ai comandi del cervello.

Finalmente, alle 8, dopo oltre 4 ore di sofferenza, compare il sole, a riscaldare un poco i corpi ormai debilitati. Il più colpito sembra essere Buhl, la circolazione si riattiva a stento e l’austriaco non sembra in buone condizioni.

Per di più Schmuck e Wintersteller seguitano a confermare i dissidi con l’artefice della spedizione e continuano per conto loro. Accecati dall sete della vetta.

All’una e mezza Buhl e Diemberger sono alla sella dei 7.800 metri sulla neve che divide la cima intermedia da quella principale. Hermann è quasi allo stremo e si trascina sui piedi che ormai non sente quasi più.

Una pausa, poi un’altra, e una ancora più lunga. Un farmaco, qualcosa da mangiare. Ma sono tutte soluzioni transitorie. Alle 16 mancano ancora 150 metri di dislivello, e la vetta sembra lontanissima.

Buhl è costretto a rinunciare, si siede nella neve e lascia che Diemberger parta da solo per il suo tentativo. Lo aspetterà fino alla discesa, nel frattempo. Mollato il compagno il giovane Kurt forza l’andatura.

E alle 17.30 è in vetta. In tempo per trovare i due fuggitivi che si apprestano a ridiscendere. La giornata è stupenda e la vista spazia dal k2 al lontano Nanga Parbat, alla punta del Masherbrum e allo spettacolare tetto di ghiaccio del Chogolisa.

Inutile tentare di descrivere l’emozione che lo pervade. Emozione che però, a detto dello stesso, sembra essere incompleta. Manca qualcosa, o meglio, qualcuno.

Qualche foto con la consapevolezza che il giorno sta volgendo al termine, e i preparativi per la discesa. Ma dopo qualche metro, guardando verso il basso, Kurt scorge un puntino che avanza lento nella neve. Incredibile, è Buhl! Con immensa fatica e incurante del fatto che tra non molto sarà l’oscurità a regnare sovrana.

Lo stupore e la gioia sono immensi. Ormai il giovane Diemberger nutre una sorta di venerazione per il forte austriaco e, una volta insieme, si appresta con lui a ritornare sulla cima.

E così la sera della domenica di Pentecoste, il 9 luglio 1957, nell’ultima luce del giorno Hermann Buhl e Kurt Diemberger sono in vetta al Broad Peak. A stringersi la mano mentre attorno a loro solo la neve sfavilla e il giorno piano piano si perde nel buio della notte. 

 
Massimiliano Meroni

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