Le Alpilles di Vincent van Gogh
Il grande pittore olandese trascorse i suoi ultimi anni in Provenza. Dove ritrasse innumerevoli volte, e da par suo, il modesto massiccio montuoso poco distante da casa
È l’8 maggio del 1889. Il pittore olandese Vincent van Gogh accetta volontariamente di essere ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole. Nel paese di Saint-Rémy lo chiamano il “rosso pazzo”. Beve, è mentalmente disturbato ed è insonne. Non si sa esattamente che cosa abbia, ma la gente lo guarda con sospetto da quando si è tagliato da solo il lobo dell’orecchio sinistro e l’ha consegnato a una prostituta, finendo in nosocomio per intervento della polizia. Vincent si calma, fra le mura del manicomio. La finestra della sua stanza guarda verso la campagna e la catena delle Alpilles, le colline provenzali che hanno il punto più alto a Les Opies (493 m). In questo luogo di confino, lui che veniva da una nazione tutta piatta e che nei suoi quadri non aveva mai dedicato un briciolo d’interesse nei confronti delle montagne, inizia a dipingere quanto vede. E nei quadri del periodo di ricovero, tra maggio 1889 e maggio 1890, queste montagne sono una presenza quasi costante.
Per comprendere la sua follia, occorre conoscere a grandi linee il suo percorso esistenziale. A cominciare dalla nascita sotto una cattiva stella, il 30 marzo 1853: esattamente un anno prima, sua madre Cornelia aveva dato alla luce un altro figlio, Vincent Willem Maria, nato morto. Quando il futuro pittore apre gli occhi, ai genitori sembra una buona idea dargli il nome del fratellino morto. Vincent è abile a disegnare e impara facilmente le lingue, ma a scuola è un lavativo. Quindi, a 15 anni viene spedito a lavorare per una società che si occupa di vendita di opere d’arte. In teoria, un mestiere perfetto per essere a contatto con l’ambito che predilige. Bruxelles, Londra, Parigi: questa attività gli fa conoscere l’Europa, ma compaiono già i primi segnali di depressione. Si disinteressa del lavoro e si avvicina alla religione, che aveva respirato in casa, perché il padre era pastore della chiesa riformata olandese. Vuole fare il predicatore, e ci prova. In seguito, su sollecitazione del fratello Théo – è lui il legame più forte in famiglia – inizia finalmente, intorno ai 27 anni, a dipingere. La sua carriera artistica durerà un decennio.
A Parigi, dove Théo dirige una galleria d’arte, conosce i pittori impressionisti e Paul Gauguin. E quando nel febbraio 1888 sceglie di trasferirsi ad Arles, nel solatio sud della Francia, è a Gauguin che pensa quando concepisce l’idea di una sorta di comunità di pittori che convivono come gli antichi monaci. Paul sogna già i tropici, ma accetta di trasferirsi per un periodo da van Gogh, che gli offre un tetto e denaro. Arriva a fine ottobre e in due mesi i loro rapporti si deteriorano. Gauguin detesta Arles e Vincent gli sembra un personaggio strampalato. Il giorno che van Gogh tenta di aggredirlo con un rasoio – senza neanche sfiorarlo: anzi, poi si automutila l’orecchio – Gauguin capisce che è ora di andarsene.
In Provenza van Gogh trascorre una fase di febbrile produzione pittorica, che non è interrotta neppure dal ricovero. L’anno delle montagne è il 1889. Les Alpilles sono lo sfondo di due quadri: Un prato tra le montagne, conservato al museo Kröller-Muller nei Paesi Bassi e Paesaggio di montagna dietro l’ospedale Saint-Paul, custodito presso la Ny Carlsberg Glyptotek a Copenhagen. Nel primo, la luce è quella dei mesi più caldi: il cielo è di un giallo acceso, che contrasta con i toni blu della montagna che si staglia dietro alla casa contadina. Davanti, un prato verde sembra accarezzato dal vento. Nel secondo quadro, i toni virano verso l’azzurro e un blu intenso che caratterizzano il cielo attraversato da candidi cumulonembi, ma anche la montagna, che è blu. In lontananza, qualche casa e un campo dove erbe o spighe verdi e gialle si muovono al vento. Siamo nell’ultima fase di vita dell’artista, e le sue pennellate diventano più nervose e vorticose.
Il fenomeno è ancora più marcato in Montagne a Saint-Rémy, oggi nella collezione del Guggenheim Museum di New York. Si coglie l’amore di van Gogh per la rappresentazione della montagna e della natura dal vivo. Sappiamo quello che pensava dalle lettere scritte al fratello Théo, in cui cita questo quadro in particolare, che ritrae “un paese desolato di montagne cupe, fra le quali si trovano alcune oscure capanne di caprai dove fioriscono i girasoli”. In effetti, guardando bene, minuscoli girasoli sembrano sfidare la maestosità della montagna. Van Gogh si sente meglio, quando può dipingere all’aperto. Il soggetto non lo annoia, si sente rinfrancato. La natura per lui ha un significato religioso. In questo, si distingue dagli altri impressionisti che prediligono la città e i luoghi del divertimento. Anche van Gogh ha dipinto Parigi e i caffè, ma in campagna trova la sua dimensione ideale. Il paesaggio rurale popolato di gente semplice e timorata di Dio asseconda le sue utopie e si avvicina all’idea della purezza del primitivo che animerà Gauguin a Tahiti. Il vento sembra quasi purificatore: accarezza le spighe in vari toni del beige e del giallo in Campo di grano con cipressi, esposto alla National Gallery di Londra. Dietro, si stagliano le montagne del massiccio, ma al centro della scena ci sono due cipressi e alcuni arbusti. Le pennellate larghe sembrano tradire l’inquietudine dell’artista, che però in questo paesaggio pulito e sano, lontano dall’inquinamento che in quegli anni già assedia le città, trova requie.
In Oliveto con nuvola bianca della Collezione Whitney a New York, alberi di ulivo nodosi e contorti sembrano fondersi con le montagne blu, austere e vetuste come le piante. Qui van Gogh ci racconta la forza della natura. Le curve sembrano rendere il paesaggio quasi in movimento. Chissà quali moti inesprimibili affliggevano il suo animo mentre dipingeva questo luogo. Malgrado i numerosi studi, non si è mai capito di cosa soffrisse esattamente Vincent van Gogh. Chi dice schizofrenia, chi disturbo bipolare, chi ancora demenza. Non lo sapremo mai, né ci è dato conoscere le circostanze precise hanno portato alla sua fine. Il 27 luglio 1890, dopo essere uscito per dipingere, torna al suo alloggio con un proiettile nello stomaco. Si è sparato da solo, come racconterà? O qualcuno gli ha sparato? I tentativi di salvarlo sono vani: due giorni dopo, chiude gli occhi per sempre a Auvers-sur-Oise, a una trentina di chilometri da Parigi, all’età di 37 anni. Proprio quando i suoi quadri stavano iniziando a ottenere qualche successo.