27 settembre 1804: Josef Pichler e la prima ascensione dell’Ortles
220 anni fa uno straordinario alpinista altoatesino, Josef Pichler detto Josele, raggiunse per la prima volta i 3904 metri dell’Ortles, per il severo versante di Trafoi. Negli anni successivi sale anche la cresta del Coston, o Hintergrat.
Due uomini di San Leonardo in Passiria, due secoli fa, segnano la storia del Tirolo. Tra loro c’è un anno di differenza, non sappiamo se si conoscano. Il più famoso, Andreas Hofer, fa l’oste fino a 42 anni, si trasforma nel 1809 nel capo della rivolta tirolese contro la Baviera e i francesi. Occupa Innsbruck, Bolzano e Trento, vince le sue battaglie ma perde la sua guerra perché l’Austria, battuta da Napoleone a Wagram, restituisce il Tirolo alla Baviera. Catturato nel 1810 dai francesi, viene fucilato a Mantova.
L’altro figlio di San Leonardo non diventa un eroe popolare. In suo onore non vengono mai organizzate delle sfilate di Schützen. Per vivere Josef Pichler, detto Josele, cioè “Peppino” fa un mestiere più duro. Mentre l’oste Andreas Hofer mesce birra e vino in paese, Pichler si dedica al contrabbando e alla caccia.
Grazie al suo intuito e al suo piede sicuro, nel 1804, diventa protagonista della prima salita dell’Ortles, che sul documenti del tempo (ancora oggi in tedesco) figura con il nome di Ortler. Uno scritto del 1826 lo descrive così. “Corporatura minuta, gambe molto storte conseguenza del troppo arrampicare, occhi acutissimi, un naso pronunciato e un cappello verde a punta”. Nessuno, purtroppo, disegna mai un suo ritratto.
“Su Paccard e Balmat si sono scritti molti libri, Pichler non lo conosce nessuno. Invece era un montanaro straordinario, istintivo, capace di muoversi su terreno difficile. Quando sono tornato sulla sua via del 1804 sono rimasto impressionato”, ha scritto qualche anno fa Reinhold Messner.
L’ascensione dell’Ortles viene preceduta da altre. La conquista del Monte Bianco del 1786, e la ripetizione di Horace-Bénédict de Saussure diventano famose in tutta Europa. Nel 1800 il principe vescovo von Salm-Reifferscheid promuove la salita del Grossglockner. Quattro anni più tardi l’arciduca Giovanni d’Austria traversa il Passo di Resia, scopre l’Ortles, incarica J. Gebhard, ufficiale delle truppe alpine, di promuovere la prima salita alla cima.
Nel 1804 Gebhard arriva in Val Venosta, stabilisce il suo campo-base a Castel Coira, incarica due uomini della Zillertal, Johann Klausner e Johann Leitner, di salire alla cima con dei montanari locali. Il primo tentativo ha luogo il 30 agosto, il secondo l’indomani. Poi l’ufficiale si ammala, e i tentativi continuano a fallire. Al sesto partecipa un arpista girovago in grado, secondo le sue parole “di creare un fuoco elettrico sul ghiaccio”. Ma la sua magia non serve.
La cronaca della conquista
Il 26 settembre il buon Gebhard, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, vede comparire Josef Pichler, e lo ingaggia senza stabilire un compenso. L’indomani lo vede incamminarsi verso l’Ortles, seguito dai due tirolesi, in una scena che viene resa celebre da un quadro conservato a Castel Coira. L’1 ottobre l’ufficiale scrive finalmente all’arciduca.
“Altezza Reale! La grande impresa è compiuta! I barometri sulla cima dell’Ortles, tra le 10 e l1 11 del mattino del 27 settembre 1804, segnavano 194°. Non ricordo una giornata più felice del 28 settembre, quando verso le quattro del pomeriggio i conquistatori dell’Ortles fecero ritorno comunicandomi la notizia tanto attesa”.
I tre sono partiti dal Santuario delle Tre Fontane, poco a monte di Trafoi. Il barometro conferma quanto già stabilito dai teodoliti, cioè che la grande montagna del Tirolo non raggiunge i giganti del Regno di Sardegna e del Vallese. Ma l’arciduca è contento, e pensa a nuove ascensioni. Per sapere dove sono passati i tre uomini è bene ridare la parola a Reinhold Messner.
Come tutti gli alpinisti altoatesini, il re degli “ottomila” conosce bene l’Ortles. Affronta la Nord a vent’anni, aprendo una variante diretta con il fratello Günther. Sale la Nord del Gran Zebrù quando la “Meringa” è ancora al suo posto e gli attrezzi da piolet-traction non sono stati inventati. Nel 1976, con Hermann Magerer e Dietmar Oswald, sale il pilastro centrale della parete Sud ovest, rivolta verso la strada dello Stelvio e Trafoi. La via della prima salita corre più a destra.
“Nel 1976 ho capito che la via di Pichler era una cosa seria. La parete è ripida, pericolosa, chiusa da un alto muro di ghiaccio. Ho pensato molte volte di tornarci, ce l’ho fatta solo nel 2004, insieme a mio fratello Hubert e a Wolfgang Thomaseth” racconta Messner. “Non è stata una salita facile”.
“Pichler era un montanaro ignorante, non sapeva scrivere. La relazione, redatta da Gebhard, parla di ripide rocce, e poi di “un canale di rocce rosse, che solo di rado è sgombro dalla neve, e se lo è non è possibile passarvi”. Noi abbiamo seguito uno schizzo disegnato qualche anno dopo, in cui la via sembra salire per uno sperone. Quando eravamo molto in alto abbiamo visto il canalone più a sinistra, e l’unica linea possibile per entrarci era più in basso”, prosegue il racconto di Messner.
“Sono sicuro che i tre del 1804 sono passati da lì. Noi, all’uscita della parete, abbiamo trovato un muro di ghiaccio alto 80 metri, impensabile con l’equipaggiamento di quegli anni. Dall’uscita del muro alla vetta abbiamo camminato per mezz’ora. Pichler e compagni, usciti dal canalone, hanno camminato per un’ora e mezza sul ghiacciaio. Sì, sono passati a sinistra”.
Pichler per primo anche dal versante di Solda
Il rapporto tra Pichler e l’Ortles non finisce con la prima ascensione. L’anno dopo, sempre su incarico dell’arciduca, Josef affronta la montagna dal versante di Solda. Con tre nuovi compagni (Johann Hell, Michael Hell e un cacciatore di cui non conosciamo il nome) sale la via della Hintergrat, la cresta del Coston per gli alpinisti italiani. Un elegante percorso di misto che resta impegnativo anche oggi.
Pichler e compagni salgono e scendono per quattro volte la via, che lasciano in parte attrezzata. Nella quarta salita portano in vetta una bandiera, la quinta volta conducono Gebhard e padre Rechenmacher, il parroco di Solda. Due settimane più tardi Pichler accende un grande falò sulla cima, il 16 settembre Gebhard vi torna e i suoi uomini ereggono una piramide di pietra. Il progetto dell’arciduca prevede la costruzione di un rifugio, ma l’arrivo di Napoleone blocca i lavori.
Negli anni successivi la guerra di Andreas Hofer e una difficile pace lasciano l’Ortles nell’oblio. Quando nel 1826 un altro ufficiale viennese, Schebelka, progetta la salita alla cima, alcuni montanari escludono che la vetta possa essere raggiunta. Qualcun altro ricorda, e indica al viennese Josef Pichler, che a sessant’anni suonati è l’unica guida capace di condurlo lassù.
Josele sale da solo l’Hintergrat, ma un muro di ghiaccio impedisce di uscire sulla cima. Resta la via di Trafoi, e Schebelka viene portato su da lì. L’ufficiale fatica, si sente male, si trova “più di una volta sospeso in aria” grazie alla “corda legata sotto alle braccia”. Dal bivacco nei pressi dell’odierno rifugio Borletti (Bergl Hütte) impiegano più di dieci ore.
Nel 1834 i conti Trapp accolgono a Castel Coira un altro candidato alla vetta. Anche il professor Thurwieser, con sua sorpresa, si vede indicare come guida Josef Pichler. Tenta di protestare, poi si rassegna e parte. Anche stavolta la comitiva sceglie la via di Trafoi, il 13 agosto Thurwieser arriva in cima con Lex Pichler, figlio di Josef e a Michael Gamper. Il vecchio Josele resta ad aspettarli sul ghiacciaio. E’ l’ultima grande impresa di un alpinista straordinario e sconosciuto.