L’overtourism? Non è mica per tutti
Viaggio agostano da Cortina alle Orobie, tra folla, frastuono e file interminabili anche per una salsiccia al rifugio. Ma poco più in là intere vallate semideserte lottano per sopravvivere
Non temete: non vi inviterò alla serata delle diapositive (che poi, le diapositive delle vacanze ce le ricordiamo solo noi boomer). Però qualcosa della mia estate ve la voglio raccontare. Sono stato a Cortina. Poi sono passato per l’alta Val Brembana, in quel ramo orientale che culmina a Foppolo e che geograficamente si dice Val di Fondra, anche se nessuno la chiama così. Due mondi più diversi non si potrebbero immaginare. Proprio dal contrasto tra questi due luoghi sono nate alcune considerazioni filosofiche sui modelli di sviluppo, con cui però non voglio tediarvi. Vorrei invece parlare di overtourism, termine quest’anno tanto di moda che significa “tutti nello stesso posto nello stesso momento”.
A Cortina, in giro per lavoro, mi è capitato di salire alle Cinque Torri nel giorno in cui qualche centinaio di rievocatori storici assatanati, nelle divise della Grande Guerra, riempivano le trincee e si suddividevano i compiti: chi affettava il salame, chi fingeva di calarsi in doppia (corde di canapa) da massi alti due metri, chi sparava con gli obici, a salve per fortuna. Altre centinaia di turisti, soprattutto famiglie con cani e bambini, seguivano affascinati le operazioni belliche, altre centinaia si arrampicavano su per le varie vie delle Cinque Torri, altre centinaia facevano la fila per le salsicce ai ferri del rifugio.
Il giorno dopo ho raggiunto in funivia il Piccolo Lagazuoi, dove l’interminabile fila di formiche travestite da escursionisti seguiva la cresta fino alla croce, avanti e indietro verso l’immancabile pranzo in rifugio (i privilegiati possono pernottare qui in attesa dello spettacolo dell’alba dolomitica, con sauna, in piccole suite dai prezzi cortinesi).
Il giorno dopo ancora ho sperimentato le vasche lungo Corso Italia a Cortina downtown. Stessa folla di cui sopra, ma quasi tutti orientali oppure italiani abbigliati da ciclisti di lusso. Il patron di uno storico quattro stelle, con cui contemplavo il passaggio sorseggiando un’acqua minerale, mi diceva sconsolato: “L’ospite medio è cambiato. Un tempo c’erano intere famiglie che si fermavano uno o due mesi per la villeggiatura, le mamme in costume ampezzano, i papà abbronzati da aperitivo in terrazza. C’erano i salotti letterari, si decidevano i destini economici dell’Italia davanti a un caffè… Ora guarda, vengono da tutto il mondo, uno o due pernottamenti, un selfie e via”.
Dalle Dolomiti alle Orobie: il film è sempre lo stesso. Però…
Il quarto giorno ho smesso di lavorare, finalmente. Sono scappato in Val Brembana, sperando in una montagna un poco meno affollata. Tra i sentieri che preferisco, quello che da Roncobello porta al rifugio Laghi Gemelli attraverso il passo di Mezzeno è proprio bello, non ci sono Tofane all’orizzonte ma alpeggi, laghi e qualche simpatica montagna di cui pochi sanno il nome. Quel giorno il parcheggio alle Baite di Mezzeno, dove si lascia l’automobile, era irraggiungibile: già qualche chilometro prima le auto intasavano il bordo strada, rendendo la valletta solitaria un inferno di frizioni bruciate. Sentiero affollato. Finalmente il rifugio: affollatissimo. Mezz’ora di coda per la solita salsiccia, coda anche per chi aveva prenotato un tavolo, piazzale in stile sagra di paese. Ma come, non erano tutti a Cortina?
Sceso a Foppolo, però, la musica è cambiata. Pochi gitanti di giornata, paese deserto e seconde case come al solito vuote. Nessuno struscio a Foppolo, perché non c’è un Corso Italia su cui praticarlo e perché il modello di sviluppo (ci siamo arrivati!) negli ultimi settant’anni è stato l’opposto di quello della conca ampezzana. A Foppolo, nonostante la neve naturale “quasi” garantita (la stazione è alta, parte da 1600 metri), nessuno ha investito in impianti e piste nuove. Ci sono oggi meno seggiovie e meno chilometri sciabili rispetto a vent’anni fa, i pochi negozi superstiti hanno chiuso, e così gli alberghi, che si contano sulle dita di mezza mano. I giovani? Se ne vanno, naturalmente. “Io ho vissuto un’infanzia splendida qui”, mi dice la figlia di uno degli ultimi casari, “ma ho quattro figli, come faccio a farli crescere in un posto senza scuole, senza negozi, senza mezzi pubblici?”. La signora ora vive in basso, a San Pellegrino, e ammette che quando il padre ormai anziano si ritirerà, sarà finita anche per i formaggi (per me personalmente sarà un lutto: il suo Branzi fresco è tra i migliori della valle).
Tanti luoghi sono quasi deserti. Sembra una buona notizia, ma lì si lotta per sopravvivere
Insomma, ero già pronto a gridare all’“overtourism” anche in Val di Fondra, ma la realtà dei fatti è diversa. È la realtà di gran parte, quasi tutto il territorio alpino, che oltre alle “Perle delle Alpi” come Cortina, Courmayeur ecc., comprende anche la mezza montagna, le valli depresse, le stazioni sciistiche in via di dismissione. Paesi che lottano per sopravvivere, come Moio de’ Calvi, sempre in Val Brembana, che tenta di rilanciarsi con la festa delle mele e con le cooperative alimentari, ma dove qualche anno fa il sindaco offriva alloggio gratuito a un panettiere che volesse stabilirsi lì. Nessuno ha risposto.
La buona notizia? Ci sono ancora un sacco di bellissimi posti per il nostro alpinismo/escursionismo, senza doverci mettere in fila sui sentieri: basta saper scegliere. La cattiva? La montagna continua a essere la grande dimenticata del mondo contemporaneo. Finché qualcuno (i politici, gli imprenditori?) farà qualche serio investimento per portarvi infrastrutture e lavoro. Non per il turismo o peggio per l’overtoturism, ma per chi voglia viverla tutto l’anno, da abitante stanziale.