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Quando la montagna si fa arte

11-04-2005 – La
montagna
si può intendere e vivere in molti modi e
c’è chi, come Matteo
Olivero
, ne fa arte. Colore.
Pittura.

Pittore del cuneese il tema
prediletto delle sue opere è appunto l’amata montagna
, in
particolare nelle delicate ore dell’alba o del vespero. Si
dedicò anche ad altri temi fra cui diverse vedute di Venezia e
alcuni autoritratti. La sua pittura molto intensa e vibrante lo
può far annoverare tra i pittori piemontesi più
significativi del primo Novecento. In particolare la sua attenzione ai
soggetti delle sue care valli lo rende uno
degli ultimi testimoni di una montagna quieta e melanconica.



In particolare lo caratterizza la sua attenzione allo spazio, quasi sempre privo di
esseri umani, come a rappresentare un luogo
vergine e incontaminato dalla presenza umana.
Il suo percorso
espositivo fu internazionale, espose in diverse città europee
fra le più note Bruxelles, Grenoble, Monaco di Baviera. Anche a
Parigi, dove ebbe occasione di conoscere e frequentare la viva
realtà cosmopolita, con buoni consensi per il suo lavoro
artistico. Muorì suicida, sembra anche in seguito alla morte
dell’adorata madre, a Verzuolo, presso la dimora del suo mecenate, il
senatore Burgo, il 28 aprile 1932.

Attualmente diverse opere si possono ammirare presso il Museo Civico di
Saluzzo, mentre in Cuneo sono presenti presso la collezione Casa
Galimberti e presso il Museo Civico di Cuneo dove si trova la sua
famosa opera "Funerali a Casteldelfino".

Breve biografia dell’autore:

Matteo Olivero è nato ad
Acceglio il 15 giugno 1879, rimasto orfano di padre fu allevato in
Cuneo dalla amabile e forse troppo protettiva madre. Frequentò
l’Accademia Albertina di Torino, dove diede inizio alla sua
attività artistica che, per un breve periodo, si
interessò anche alla scultura sulla scia di Leonardo Bistolfi,
optando poi in modo definitivo alla pittura.

La sua carriera artistica si legò inizialmente allo stile
accademico ma poi, a seguito anche di un importante viaggio in
Svizzera, prese una forma più personale avvicinandosi al
divisionismo di Segantini, stile in cui espresse alcuni dei suoi lavori
più belli.

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